di Gianluigi Mattietti
A Istanbul di questi tempi si vive pericolosamente. Ma gli abitanti della grande metropoli sul Bosforo sembrano affamati di musica, e non hanno rinunciato ad affollare gli stupendi luoghi della città, come la Chiesa di Santa Irene, la chiesa armena di Surp Vortvots Vorodman, la basilica di Sant’Antonio, il Monastero di Hagia Triada, Le chiese di Surp Yerrortutyun e di Panayia Isodion, le sale da concerto İş Sanat e Lütfi Kırdar, che ospitano l’Istanbul Music Festival. Rassegna giunta quest’anno alla sua edizione n.44, nata nel 1973 (in occasione del cinquantesimo anniversario della fondazione della Repubblica turca) su unizativa di uomini di affari e mecenati guidati da Nejat Eczacıbaşı, come vetrina della Fondazione di Istanbul per la Cultura e le Arti (İKSV). Questo festival negli anni si è ampliato, diversificato (includendo anche i settori del cinema, del teatro, del jazz, della danza, oltre che esposizioni d’arte), ha cambiato nome, ha acquisito una dimensione internazionale, si è arricchito di numerose iniziative come il triennale Concorso di Canto intitolato a Leyla Gencer. Grazie al sostegno di numerosissimi sponsor, il festival è una passerella di musicisti dello star system: tra i solisti quest’anno c’erano Murray Perahia, Gautier Capuçon, Gérard Caussé, Maria João Pires, tra le orchestre i Wiener Symphoniker diretti da Pablo Heras-Casado (con la giovane promettente pianista Alice Sara Ott), la Venice Baroque Orchestra (che ha accompagnato il soprano Patricia Petibon in un concerto di arie händeliane), la locale, eccellente Borusan Philharmonic Orchestra diretta da Sacha Goetzel.
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L’edizione di quest’anno era dedicata all’anniversario shakespeariano. Aveva come motto un verso di Shakespeare: «If Music be the Food of Love, Play On». E scene di Shakespeare sono state recitate da due celebri attori turchi, Mert Fırat e Tilbe Saran, in uno spettacolo dove questi dialoghi e monologhi si alternavano a pezzi pianistici suonati da Alexei Volodin. Il pianista russo, allievo di Eliso Virsaladze e vincitore del concorso Géza Anda nel 2003, ha sfoggiato il suo tocco magistrale, capace di estrarre dal pianoforte un’infinità di colori e di atmosfere nei pezzi dal Romeo e Giulietta di Prokofiev, nello scherzo dal Sogno di una notte di mezza estate di Mendelssohn (nella trascrizione pianistica Rachmaninov), nellaFiaba op.35 n.4 «Re Lear» di Nicolai Medtner. Nella seconda parte della serata si è cimentato con la Sonata n.1 di Rachmaninov, offrendone una lettura molto drammatica, ma asciutta, senza enfasi, con ammirevole chiarezza di articolazione e un’attenzione al fraseggio e agli accenti, soprattutto nel fiammeggiante finale, che pareva un vortice di melodie. Tra i pianisti non poteva mancare Idil Biret, un vero mito in Turchia, enfant prodige, allieva di Nadia Boulanger, Alfred Cortot e Wilhelm Kempff, interprete dal repertorio sterminato. Per festeggiare i suoi 75 anni il festival di Istabul le ha dedicato una maratona pianistica, che si è conclusa con un bellissimo concerto tutto bachiano a Hagia Eirene. La Biret ha suonato la Fantasia cromatica e Fuga BWV 903, il Concerto italiano BWV 971, alcuni preludi e fughe dal Clavicembalo ben temperato, la Suite francese BWV 816, la Partita BWV 825: un Bach maturato nel corso dell’intera vita, molto elegante, ma anche di grande freschezza, con un tocco essenziale, poco pedale (suono clavicembalistico) ma molte sfumature dinamiche (suono pianistico), con un fraseggio curatissimo per ogni singola voce, accesi contrasti ritmici tra i movimenti (e le danze nelle suites), un tratto fortemente emozionale.
Alcuni solisti si sono portati dietro i propri personali ensemble. Tra questi Isabelle van Keulen, che ha suonato con l’Isabelle van Keulen Ensemble, e Maxim Vengerov, che si è esibito da solista e da direttore insieme ai giovani talentuosi musicisti della International Menuhin Music Academy, la celebre accademia per archi fondata a Gstaad (nel cantone di Berna) nel 1977, diretta prima da Alberto Lysy, poi da Vengerov, e trasferitasi dal 2011 al Château de Coppet. Anche questo concerto era legato a un anniversario, i cento anni dalla nasciata di Menuhin. Vengerov si è cimentato con il Concerto per violino in la maggiore K 219 di Mozart, dipanando le melodie come fossero arie d’opera, cercando contrasti più di colore che di umore, evitando le frizioni troppo drammatiche a favore di un’ideale di levigatezza. Ha poi suonato il Concerto per due violini in re minore BWV 1043 di Bach (affiancato alternativamente da diversi musicisti dell’Accademia, nella seconda parte solistica) e tre pagine čajkovskijane, con le quali è parso in perfetta sintonia: la Sérénade mélancolique, un trascinante, frizzante Vals Scherzo, pieno di rubati e di contrsti repentini, la Serenata per archi in do maggiore, elegante, raffinata e ricca di pathos.
L’Istanbul Music Festival ha un’impornta molto “classica”, e con una serie di interessanti inziative, come i concerti dei “Weekend Classics” (concerti en plein air, aperti al pubblico, nelle mattine di sabato e domenica, frequentati da una folla variopinta, che ascolta la musica distesa sul prato, nei parchi della città, come quello, bucolico, di Fenerbahçe) che servono ad avvicinare il pubblico al grande repertorio della musica classica. Ma sin dalle sue origini, il festival ha anche commissionato nuovi lavori, soprattutto a compositori turchi (negli ultimi anni per esempio a Zeynep Gedilizoglu e a Hasan Niyazi Tura). Quest’anno è toccato a Özkan Manav, che ha composto un trio intitolato Ludus Modalis, affidato all’eccellente Trio Arte, e a Michael Ellison (compositore americano, ma quasi “naturalizzato” turco: dopo gli studi di composizione e di etnomusicologia negli Stati Uniti, dove è stato allievo di William Allaudin Mathieu, ha fatto il suo dottorato all’università di Istanbul, studiando canto e strumenti tradizionali turchi) che ha scritto un’opera, The Sea-Crossed Fisherman, basata sul celebre romanzo Deniz Küstü (1978) di Yaşar Kemal, affidata alla regia di Simon Jones (che ha anche scritto il libretto), messa in scena nella deliziosa Süreyya Opera (bel teatro Art Deco costruito nel 1927 come primo teatro d’opera sulla sponda asiatica di Istanbul, utilizzato però per 80 anni come cinema, per la mancanza dei camerini e delle necessarie infrastrutture nel palcoscenico, e infine riportato solo nel 2007 alla originale funzione di teatro d’opera dopo un accurato restauro nel 2007.
Ambientata nel piccolo villaggio di Menekșe, la vicenda era insieme una celebrazione della città di Istanbul e una riflessione sui drammi ambientali del pianeta, con un’originale drammaturgia, che giocava su due piani distinti, il sogno e la realtà. Da un lato il mondo pacifico del mare, del pescatore Selim, sognatore dall’animo sensibile, amico dei delfini e della natura, innamorato di una sirena, per la quale arriva a costruire una casa, ma anche personaggio umorale, capace di combattere contro un pesce spada, di uccidere sia Zeynel, giovane boss della mala, e Veziroǧlu, l’uomo nuovo che era arrivato nel villaggio con progetti di sviluppo e nuove navi per la pesca. Dall’altro c’era il mondo squallido e delinquenziale della città, dei vicoli di Karaköy e Beyoğlu, dove si aggiravano malviventi, dove correvano poliziotti all’inseguimento di Zeynel. Interessante anche l’idea di intrecciare questi due piani narrativi attraverso le chiacchiere dei pescatori, sempre in scena, seduti intorno a dei tavolini, a sorseggiare tè e a leggere giornali. La musica di Ellison giocava pure alternando, in maniera teatralmente avvincente, gli episodi fantastici e quelli “noir”, integrando in uno stile piuttosto eclettico elementi contemporanei, tradizionali, e strumenti popolari turchi (come aveva già fatto nell’opera Rumi–Say I Am You, commissionata dall’Istanbul Music Festival e da Operadagen di Rotterdam nel 2012). Una musica che echeggiava Britten e Bernstein, con venature minimal e jazzy, ricca di colori e di contrasti, dominata da una scrittura ritmica molto diretta e da repentini cambi di atmosfera. La eseguiva l’ottimo Hezarfen Ensemble (di cui Ellisson è direttore e cofondatore), gruppo di riferimento per la musica contemporanea in Turchia, recentemente molto attivo anche sul piano internzionale. I cinque cantanti britannici (Gwion Thomas, Robyn Allegra Parton, Louise Innes, Damian Thantrey, Adam Green) si alternavano sulla scena con quattro danzatori (Evrim Akyay, Gizem Bilgen, Can Gökdoğan, Serhat Kural), che interpretavano ruoli multipli, e concorrevano alla realizzazione di una sorta d’opera d’arte totale dove si intrecciavano musica, canto, recitazione, danza e il bellissimo video di NOHlab (Candas Sisman e Deniz Kader). Gli oggetti scenici in effetti si riducevano a poche sedie e un tavolo, che si trasformava nella barca di Selim (con la proiezione da dietro delle onde del mare, l’effetto era molto credibile). Le coreografie di Zeynep Tanbay erano semplici e molto “narrative”: dinamica quella per il ruolo danzato di Zeynel, sensuale quella della sirena. Le immagini elaborate al computer mostravano le onde del mare che si trasformano in un intreccio di linee geometriche, poi in guglie aguzze e taglienti, dal colore metallico, poi in forme organiche policrome, come uno sbocciare continuo di fiori. Nelle scene “noir”, il video mostrava invece scorci oscuri di periferia, forsennati giochi di luci e di ombre, effetti di costruzione e decostruzione delle immagini fino a una polverizzazione finale delle immagini, che lasciava spazio solo a un grande sole rosso, alla fine dell’opera, con la sagoma nera di Selim in controluce.
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