di Luca Chierici
Un programma di recital all’anno è oramai consuetudine per ogni pianista “di giro”. E per un artista che oltre che “di giro” è di culto, come Grigory Sokolov, si è trattato questa volta di impaginare un recital che vedeva la presenza di titoli in parte noti ai seguaci del pianista attraverso la frequentazione di precedenti appuntamenti. Vale per lui ciò che si è verificato in passato per tanti illustri colleghi: il repertorio un tempo assai vasto si va riducendo per entità ma l’evento concertistico in sé acquista una propria valenza assoluta sia per la qualità trascendentale della performance sia per la diversa collocazione degli elementi in programma. Mercoledì scorso, per la Società dei Concerti di Milano, Sokolov ha presentato due parti dedicate espressamente a Mozart (le Sonate K 545 e 457 inframmezzate dalla Fantasia K 475) e a Beethoven (le sonate op. 90 e 111) e in entrambi i casi i pezzi scelti sono stati eseguiti senza soluzione di continuità da un artista immerso in una inquietante penombra.
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Per la cronaca, la Sonata op.111 era stata eseguita a Milano tredici anni fa con una impostazione simile ma con risultati meno impressionanti, mentre l’accoppiata mozartiana in do minore risale a tempi ancora più lontani (2001). Nuove in assoluto erano quindi le proposte dell’op. 90 di Beethoven e della K 545. Proprio da quest’ultima vorrei partire per sottolineare come Sokolov segua da par suo una rivalutazione di un pezzo tradizionalmente considerato oggetto di studio nei primi anni dei corsi pianistici. Rivalutazione non certo nuova, perché questo piccolo gioiello non mancava certo da integrali mozartiane di riferimento come quelle di Gulda o del vecchio Arrau, ma riproposta dal vivo seguendo forse un inarrivabile esempio che risale al Richter dei concerti praghesi (1956). Sokolov proietta questo Mozart piuttosto enigmatico in un contesto che ci potrebbe far ricordare il rococò di Benedetti Michelangeli in Galuppi: un fraseggio e soprattutto una cura certosina del suono e degli abbellimenti, cui si aggiunge una dovizia di inserti improvvisati, che proiettano questo saggio ben al di là di ciò che può fare un pur dotatissimo allievo di Conservatorio. E in questo senso, come del resto fanno tutti gli altri interpreti ora citati, il pianista non ci aiuta a risolvere il piccolo mistero che ruota attorno a questo apparentemente facile saggio che, come sottolinea giustamente l’Einstein, non dovrebbe far parte del materiale didattico per i principianti.
Con l’accoppiata tra Fantasia e Sonata in do minore Sokolov ha ribadito la sua visione del tutto opposta a quella del cosiddetto “Mozart demoniaco” che era stata suggerita da studiosi come l’Einstein. I tempi sono piuttosto lenti, non vi è enfasi pre-romantica e tutto qui è mantenuto nell’esatto contesto cronologico in cui queste pagine sublimi erano state create, probabilmente a seguito di qualche altrettanto sublime improvvisazione. Eppure la silhouette di Sokolov e la qualità del suono facevano pensare indirettamente al Mozart di Walter Gieseking che, pure anch’esso lontano da una concezione post-databile del pianismo mozartiano, sapeva qui sottolineare delle inquietudini ben distanti dall’immagine di un compositore semplicemente aggraziato e convenzionale. Si ascoltino le ultime misure del Rondò K.511 dalle mani di Gieseking e si capirà come ci si possa inabissare in pochi secondi in un contesto di angoscia e di paura.
Né Sokolov ha sottolineato la severa impostazione del primo movimento della sonata op.90 di Beethoven, tanto che l’esecuzione delle due parti non contemplava il benché minimo spazio di cesura, come se il pianista avesse fretta di approdare al rassicurante “maggiore” del finale “sehr singbar vorzutragen” (da suonare con pienezza di canto). Nella 111 si ammirava oramai una più che raggiunta maturità artistica del pianista russo, in cui la scelta dei tempi (assai dilatati) e delle sonorità dava luogo a un raggiungimento di qualità così alta – la realizzazione dello sviluppo fugato nel primo movimento aveva delle caratteristiche di chiarezza espressiva che oggi non sono replicabili da pianista alcuno – da porre questa esecuzione nel novero di quelle cose che non si possono neppure commentare, così come conviene a Benedetti Michelangeli, a Pollini o ad altri artisti di culto.
Tra i numerosi bis concessi da Sokolov al termine di una serata già molto impegnativa segnaliamo sicuramente l’accoppiata dei due Notturni op. 32 di Chopin e l’Arabeske di Schumann, altri luoghi già noti ai seguaci del pianista e di nuovo proposti con ancora maggiore profondità di espressione e bellezza di suono.
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