Un tempo gli illustratori e i critici del personaggio di Magda, protagonista de La rondine, avevano affibbiato a colei l’appellativo di “piccola Margherita Gautier” cogliendo in parte il carattere del personaggio.
Difficil cosa fu già ai tempi riassumere gli aspetti del titolo all’interno della drammaturgia pucciniana giacché erano numerosi i temi che erano stati alla base di quello che a prima vista poteva essere solamente uno strano exploit: temporaneo bisticcio con i Ricordi? Operetta? Suite di danze, anche moderne? In parte gli ingredienti ci sono tutti ma forse quello più veritiero, se non definitivo, sembra essere un misto tra una sorta di autoriflessione sulla propria produzione passata e una sfida, un gioco di bravura nei confronti di uno stile nuovo, certamente al di fuori della produzione pucciniana, anche futura. Ma siamo proprio sicuri che il soggetto della Rondine sia così lontano dai toni, dai punti salienti della drammaturgia dell’autore?
La regìa di questo lavoro, anche quella relativamente frizzante di Irina Brook serve a poco per sciogliere i nodi del problema: più le idee della Brook si allontanavano verso il genere comico-brillante più ci si accorgeva che in realtà nella Rondine era presente la sfiducia nei confronti dei rapporti amorosi, la malinconia che fa da confine tra l’innamoramento e il ritorno alle consuetudini borghesi. Anche questo lato, forse inconsciamente, era sottolineato dalla regìa della Brook nel momento finale i cui tutto il cast si dirige verso il fondo del palcoscenico sul quale campeggia (in rosso su fondale nero) la scritta Exit, come a dire che tutto ciò che si è visto e sentito era semplicemente un gioco di teatro. La regìa e le scene non hanno disturbato più di tanto (di questi tempi) la condotta di quest’opera pucciniana parzialmente singolare. Alla seconda rappresentazione – alla quale ho personalmente assistito – non ci sono stati segni di disapprovazione da parte di certo pubblico, contestazioni registrate alla “prima”.
Chailly ha come di consueto scavato nel dettaglio (si trattava della versione originale dell’opera per Vienna, recentemente riscoperta) e ha reso perfettamente coerente una partitura che in altre occasioni ci era sembrata fin troppo leziosa. Nella compagnia di canto ha brillato la protagonista, Mariangela Sicilia, con qualche difficolta nel registro sovracuto (appena sussurrato) e il suo amante Ruggero (Matteo Lippi), buona voce di tenore. Un poco meno lodevoli ma sempre all’altezza del proprio compito il Rambaldo di Pietro Spagnoli, il Prunier di Giovanni Sala (che la regista ha voluto ricoprire di movenze gay non richieste dal libretto) e la Lisette di Rosalia Cid. Ottimo successo di pubblico e conferma di un titolo che forse andrebbe riproposto più spesso.