di Santi Calabrò
Che a Barcellona Pozzo di Gotto, cittadina della costa tirrenica messinese con meno di cinquantamila abitanti, ci sia un teatro da mille posti, strutturalmente idoneo a ospitare anche un’opera lirica, è un lusso proporzionato all’Italia, “paese del melodramma”, e nel caso particolare alla Sicilia, terra natale di musicisti dotatissimi; citare il palermitano Alessandro Scarlatti e il catanese Vincenzo Bellini può esimere da un lungo elenco, ma nell’occasione va ricordato anche Placido Mandanici (Barcellona Pozzo di Gotto, 1799 – Genova, 1852), contrappuntista e compositore d’opera di solida formazione, le cui opere furono applaudite anche al Teatro alla Scala. Proprio a Mandanici, di cui i barcellonesi vanno giustamente fieri, è intitolato il Teatro cittadino. Al momento, purtroppo, assistere al Teatro “Placido Mandanici” a una rappresentazione di Rigoletto come quella andata in scena il 4 maggio è da segnalare come eccezionalità. Ma non si mai: c’è la struttura e c’è il pubblico. Si tratta solo di stabilizzare le sinergie che permettono gli eventi.
Ad apertura di sipario risulta subito eloquente l’intenzione che guida l’allestimento verdiano. Il regista, Salvo Dolce, propende per l’attualizzazione, ma senza forzature, orientando ogni scelta alla comprensione delle forze in campo e delle dinamiche drammaturgiche. La scena semplice fa affidamento sulla suggestione di uno schermo bianco in cui proiettare colori fissi e dove, giusta lezione di Bob Wilson, prima ancora del colore sembra parlare la luce in persona. Gli arredi sono pochi ma “buoni”, come ad esempio la parata di candele sul pavimento, nello spazio scenico destinato nel Terzo atto alla taverna, che risulta inquietante e cimiteriale. Sono soprattutto i costumi (di Fabrizio Buttiglieri) ad agire egregiamente da significanti: modernizzati sì, ma tali da rimandare a significati pertinenti e non stranianti rispetto all’opera. Si notano immediatamente le smisurate gorgiere dei cortigiani, innestate su abiti scuri moderni, che forniscono un rinforzo grottesco alle loro qualità senza tempo (pretenziosità, servilismo, immoralità). Il Duca di Mantova è abbigliato secondo i luoghi in cui agisce: nella sua reggia, con giacca vistosa e camicia nera sbottonatissima, è pressoché indistinguibile da un lenone prepotente, libidinoso e violento; in trasferta indossa abiti eleganti e inappuntabili, per apparire come un gran signore (nella taverna) o fingersi uno studente dall’animo sensibile. Il costume di Gilda rifugge da ogni complicazione, ben diversamente da altri registi e costumisti che a volte sembrano confondersi, si spera solo inconsciamente, con la mise della Gilda di Rita Hayworth. In questo caso vediamo una semplice tunica bianca, adatta all’insuperabile purezza, mitezza e nobiltà d’animo del personaggio, cui la fanciulla deroga nell’opera solo per il piccolo inganno al padre (necessario a incontrare lo “studente”). I particolari agiscono per sottrazione o per addizione: Rigoletto ha una gobba impercettibile, tale da non rendere buffo un personaggio che in realtà è sempre grandioso in ogni sua manifestazione, dalla cattiveria all’amore paterno, dal desiderio di vendetta alla disperazione assoluta; un collo di pelliccia sul cappotto elegante del Conte di Monterone ne dichiara l’appartenenza a un’aristocrazia diversa, totalmente contrapposta a quella volgare e corrotta impersonata dal Duca. Anche il lato strettamente registico, quello dei movimenti del coro e della recitazione, corrisponde alla direzione indicata dai costumi, non solo nella fedeltà allo spirito dell’opera di Verdi ma anche in alcune licenze ben temperate rispetto alla lettera del testo (come l’identificazione della figlia di Monterone in una delle ballerine che allietano l’atmosfera della corte viziosa). Oltre a un vestiario appariscente, che gareggia con quello dei coristi-cortigiani nel combinare riferimenti a epoche diverse, il corpo di ballo (Balletto di Sicilia diretto da Pietro Gorgone) esibisce una buona prova cora coreografica.
Soddisfacente anche il cast musicale, con la direzione e concertazione attenta di Alfredo Salvatore Stillo, poco più che ventenne, alla testa dell’Orchestra del Teatro “Francesco Cilea” di Reggio. A dispetto dell’età, Stillo governa i tempi dell’opera e il coordinamento tra buca e palcoscenico con l’autorità di un veterano. Sulla scena, il Coro Lirico Siciliano (Maestro del Coro Francesco Costa) appare sia ben preparato che disinvolto nei movimenti. Giganteggia nel ruolo del titolo il baritono messicano Carlos Almaguer: un Rigoletto tanto intenso quanto elegante, che decisamente merita le ovazioni ricevute alla fine. Enea Scala ha il buon gusto e le caratteristiche del tenore rossiniano, ma la duttilità espressiva e il buon dominio dei registri lo rendono credibile ed efficace anche come Duca di Mantova. Maria Francesca Mazzara (Gilda) mostra a volte qualche sforzo rispetto alle asperità del ruolo, probabilmente per qualche disagio contingente, ma il suo fraseggio convince e nel complesso porta a buon fine una prova ben sintonizzata sul personaggio. Bravi anche i comprimari: Francesco Ellero D’Artegna (Sparafucile), Riccardo Bosco (Il Conte di Monterone), Leonora Ilieva (Giovanna), Alberto Munafò Siragusa (Marullo), Federico Parisi (Matteo Borse), Marco Tinnirello e Tiziana Fiorito (rispettivamente Conte e Contessa di Ceprano). Licia Toscano, bella e sensuale nel ruolo di Maddalena, possiede una voce talmente vellutata che la si può immaginare credibile per il ruolo anche se prestata a una cantante di aspetto insignificante. Al dunque, le voci sono i veri personaggi dell’opera, per quanto l’occhio voglia la sua parte, e si sa bene quanto i Duchi siano attratti dal velluto!
L’afflusso notevole registrato nell’occasione – un pubblico preparato, disciplinato, competente, entusiasta –, oltre che un riconoscimento per il debutto della nuova produzione del Festival lirico dei Teatri di Pietra e del Circuito Lirico del Sud, è un buon viatico sia per sperare in una programmazione regolare al Teatro “Mandanici” di Barcellona Pozzo di Gotto sia, nell’immediato, per una diffusa circuitazione di questo spettacolo ben congegnato.