di Monika Prusak
Il capolavoro di Richard Wagner, Tristan und Isolde, ritorna a Palermo dopo oltre quarant’anni, un’opera rilevante sia per quanto riguarda la storia del teatro musicale, sia per la eccellente scrittura che portò il compositore tedesco alla massima espressione della tecnica del Leitmotiv, rivestendolo di armonie e contrappunti inediti e inconfondibili.
Il nuovo allestimento del Teatro Massimo di Palermo è andato in scena sotto la guida del Direttore musicale del Teatro, Omer Meir Wellber, diretto da Daniele Menghini, con le scene di Davide Signorini, i costumi di Nika Campisi, le luci di Gianni Bertoli e la drammaturgia di Davide Carnevali. Il libretto dell’”azione in tre atti” – come la definì lo stesso Wagner –, rappresentata per la prima volta il 10 giugno del 1865 al Königliches Hof– und Nationaltheater di Monaco, è basato sul poema medievale Tristan di Gottfried von Straßburg e fu steso dallo stesso compositore, che arricchì la vicenda originale con riferimenti filosofici e significati visionari e profondi. La storia dei due amanti è avvolta dal mistero e dalle cupe atmosfere notturne, che si contrappongono nettamente ai chiarori diurni preclusi al sentimento clandestino: il dramma interiore dei protagonisti è, infatti, sublimato dall’intimità delle luci soffuse, per cui l’ambientazione dell’opera è di fondamentale importanza per la giusta comprensione del complesso intreccio psicologico della vicenda. La scelta dell’argomento dell’opera è legata alla passione amorosa “proibita”, ma ricambiata, che Wagner nutriva per Mathilde, moglie del mecenate e amico del compositore, il commerciante Otto Wesendonck. La profondità delle immagini e delle musiche subì senza dubbio l’influenza di una Venezia ottocentesca, dove Wagner soggiornò durante la stesura.
La direzione del giovane regista e attore Daniele Menghini introduce lo spettatore in una dimensione metateatrale con il direttore d’orchestra che ripassa le parti orchestrali al pianoforte verticale situato in fondo al palcoscenico. È evidente che stiamo assistendo alla messa in scena di una prova, il movimento scenico è lento per permettere al pubblico di comprendere che l’opera sta per cominciare. Il tempo che scorre mentre il direttore – vestito di t-shirt bianca e jeans – giunge al golfo mistico, non è definito, nessuna fretta, dal viso assorto di Wellber si evince una certa concentrazione. Il metateatro coinvolge quindi anche le figure reali, i mondi si mescolano come continueranno a mescolarsi per tutta la durata dello spettacolo. Sul palcoscenico, dove è situato un lungo tavolo che ricorda una nave con la prua rivolta verso il pubblico, un’impresa di pulizie sistema la sala prove, mentre un ragazzo in tuta con cappuccio in testa si aggira con una certa nonchalance per poi spogliarsi fino al nudo integrale. Si tratta del danzatore, performer e coreografo Davide Tagliavini che ha curato tutti i movimenti, ed è proprio lui a dare il senso alla lettura di Menghini: una volta svestito indossa delle ali giganti già presenti in scena, diventando una via di mezzo tra Cupido e l’Angelo caduto, un Leitmotiv coreografico che rappresenta l’amore imprigionato in cerca di una luce. Sono diversi i momenti poetici dedicati a questa figura impregnata di forte simbologia, che ritorna sul palcoscenico fino all’ultima scena, per concludere il ciclo della vita dei protagonisti e con questa anche il loro amore.
Dai bagliori di confusione del primo atto, con cantanti, danzatori, comparse di sarte e altre figure professionali in scena, l’atto secondo porta finalmente a una dimensione più raccolta, dove i due protagonisti ritrovano la loro intimità. Sono efficaci le scene di Signorini avvolte dalle luci calde e soffuse di Bertoli. Un’impalcatura in legno crea un’ambientazione accogliente, che fa da sfondo a una trasformazione amorosa ben riuscita, accompagnata da controfigure shakespeariane, Romeo, Giulietta e Amleto (con tanto di teschi da spolverare). Si trasformano anche i costumi di Nika Campisi: dopo l’abbigliamento casual quotidiano della sala prove, gli interpreti indossano i tipici abiti di epoca elisabettiana. Il mondo di Shakespeare rafforza l’atmosfera poetica e sognante del buio della notte. La fine del secondo atto porta all’ancora più suggestivo atto terzo, che si apre con un malinconico assolo di corno inglese sopra il palcoscenico. Dopo la morte di Tristano, sarà Isotta a concludere l’opera, sola, con una Liebestod partecipata e suggestiva, ma vittima di una messa in scena che non ne tiene conto. L’azione si sposta di nuovo nella sala prova. Tristano non c’è più e solo una delle sarte prende le misure e prepara per Isotta un semplice abito nero, distraendo lo spettatore dalla bellezza della resa canora della musica.
La stella più brillante del cast è Isolde di Nina Stemme, la cantante svedese tra le più apprezzate interpreti del repertorio wagneriano. La vocalità possente e il timbro caldo fanno della Stemme una Isolde decisa e rassicurante, la sua energia riesce a trascinare il pubblico in una esperienza teatrale eccellente e unica. Accanto alla Stemme, altrettanto dinamica Violeta Urmana in Brangäne, cantante lituana che prosegue la sua importante carriera internazionale. Tra i personaggi maschili spiccano König Marke di René Pape e Kurwenal di Andrei Bondarenko; è meno riuscito, invece, il protagonista interpretato da Michael Weinius: il suo Tristano risulta coinvolgente dal punto di vista scenico, ma meno convincente da quello vocale. Omer Meir Wellber sceglie una direzione abbastanza scorrevole, sacrificando alcuni tratti caratteristici della scrittura wagneriana (tra cui il noto accordo di Tristano che avrebbe avuto bisogno di maggiore rilievo), ma allo stesso tempo rende il lungo spettacolo godibile nella sua interezza. Il pubblico applaude calorosamente tutti gli interpreti, riservando qualche voce di dissenso nei confronti della regìa.