di Luca Chierici
Di occasioni per ascoltare la Messa da Requiem di Giuseppe Verdi nella Chiesa di San Marco ce ne sono state molte, in compagnia di direttori e solisti di eccezione che hanno rinnovato la magia della prima esecuzione nel lontano 22 Maggio 1874.
In passato tali occasioni sono state purtroppo legate a eventi luttuosi che hanno scosso non solamente la nostra città e il rito del Requiem ha trovato in quel caso un significato di fratellanza, di risposta degli astanti alle avversità del fato. L’altra sera, per fortuna e non pensando in particolare al momento storico non certo privo di motivazioni infelici, l’occasione per un nuovo ascolto era semplicemente legato al centocinquantesimo anniversario della “prima” e non vi era protagonista più adatto di Riccardo Chailly per officiare un rito alla presenza di un foltissimo pubblico. Non tutto era andato a meraviglia nel lavoro preparatorio perché due voci soliste su quattro erano state sostituite quasi all’ultimo momento creando una certa tensione nell’insieme, anche se il mezzosoprano Daniela Barcellona e il tenore Francesco Meli non erano certo nuovi nei rispettivi ruoli, avevano già cantato nel Requiem con Chailly alla Scala nel 2016 e hanno dovuto affiancare il soprano Marina Rebeka e il basso Alexander Vinogradov che facevano parte del cast originale. Le occhiate tra gli “aggiunti” e Chailly erano evidenti, perché non tutto è possibile per il funzionamento di quel complesso congegno che è il Requiem senza un adeguato numero di prove.
Più che di preoccupazione per le entrate dei singoli cantanti si è percepita una certa diseguaglianza nel volume della voce (Francesco Meli tendeva troppo a primeggiare, gli interventi della Barcellona a volte venivano coperti dall’insieme) e nella estensione (la Rebeka spesso era poco udibile nel registro grave). Nulla da eccepire per il basso, che ha assolto onorevolmente al suo compito. Ma, a parte il fatto che bisognava fare i conti con l’acustica della chiesa, che poteva influire molto sulla personalità vocale dei solisti, va detto che il Requiem è anche e soprattutto un capolavoro corale. E qui lode massima sia conferita al Coro scaligero istruito e diretto da Alberto Malazzi, che si è rivelato come pilastro fondamentale nell’esecuzione curata da Chailly. Il quale ha dato una bella lettura del Requiem come da tradizione estrapolando però qualche particolare orchestrale che avevamo già colto più chiaramente in Teatro qualche anno fa. Particolare che a volte si perde nel corso dell’insieme e che è difficile da porgere all’ascolto appunto per l’acustica non proprio felice dell’ambiente della bellissima San Marco. La chiesa era come si diceva gremita fino all’ultimo posto e al termine direttore, solisti e coro (con il suo Maestro) sono stati a lungo applauditi da un pubblico riconoscente per l’importante serata.