di Monika Prusak foto © Rosellina Garbo
Ad arricchimento della stagione operistica, il Teatro Massimo di Palermo propone due titoli di grande effetto: la tanto amata e profondamente siciliana Cavalleria rusticana e una partitura di rara esecuzione, la colonna sonora, sempre di Pietro Mascagni, del film Rapsodia satanica del 1915. La versione del film con il sottofondo orchestrale dal vivo, è stata rappresentata per la prima volta il 3 luglio 1917 al Teatro Augusteo di Roma, diretta dallo stesso compositore. La pellicola di Nino Oxilia viene curata musicalmente in ogni dettaglio: la ricostruzione della partitura, revisionata da Marcello Panni, segue fedelmente i tempi e i momenti più significativi dell’azione fino a sovrastarla nei punti più alti. La storia della nobile Alba d’Oltrevita riprende i temi del Faust goethiano, in quanto la donna cade vittima di un patto con il diavolo che le prometteva eterna giovinezza a condizioni ben precise, sfortunatamente non rispettate dalla protagonista fino in fondo. La musica di Mascagni si riempie di ampie melodie pervase da un sentimento profondo, tingendosi di dissonanze nei momenti più critici e misteriosi. La pellicola colorata a mano crea insieme alla musica vertiginosa un effetto inquietante, unito alla recitazione estremamente espressiva degli attori del cinema muto, Lyda Borrelli nel ruolo della protagonista, André Habay e Giovanni Cini nei ruoli dei due fratelli – entrambi oggetto della passione della donna –, e Ugo Bazzini in Mephisto. Quello che colpisce di più nella visione del film è proprio la colonna sonora, diretta con ineguagliabile passionalità da Fabrizio Maria Carminati, che proporrà una simile forza nella Cavalleria rusticana. La bacchetta di Carminati non lascia minimo dubbio all’orchestra da timbri interessantissimi degli ottoni e dei fiati in generale.
L’opera tratta da Verga, Cavalleria rusticana, non può che incontrare interesse nel pubblico palermitano, ma la regia di Marina Bianchi la spinge oltre, proponendo una lettura tanto tradizionale quanto intensa della partitura e del libretto. Una interpretazione che scova dentro il personaggio, psicologicamente e scenicamente parlando, che fa tesoro del carattere meridionale con i suoi pro e contro, avvolti costantemente da grande senso di giustizia e dignità. Il concetto verghiano dei ‘vinti’ viene qui sostituito da un atteggiamento consapevole e mirato dei personaggi, lasciando emarginare all’interno della società siciliana solamente il debole Turiddu, che infrangendo le regole del luogo dovrà pagare il conto alla fine. Se mai avessimo avuto dubbi sulla presunta colpa di Santuzza per aver svelato il tradimento di Lola, Marina Bianchi ce li fa svanire per sempre. Nella sua interpretazione al femminile l’unione tra donne è totale, mentre gli uomini hanno il dovere di risolvere le questioni di onore tra di loro: un’altra caratteristica profondamente ancorata nel tessuto popolare siciliano. Alla regia accurata si affiancano gli splendidi costumi e le scene di Francesco Zito con le luci di Bruno Ciulli. Enrico Morelli è l’autore delle brevi coreografie che riprendono in chiave coreutica due giovani innamorati interpretati da Elisa Arnone e Giuseppe Bonanno.
Al riuscito apparato scenico si aggiunge un cast adequato, con una Santuzza vera e convincente interpretata da Sonia Ganassi che, con voce possente di mezzosoprano di notevole estensione, rende piena e variegata la parte della protagonista. La affianca un Turiddu eccezionalmente espressivo di Murat Karahan, rozzo di carattere e travolgente nella presenza scenica, capace di trasmettere quella insicurezza di base del personaggio che lo conduce inevitabilmente al tragico finale. I due sono supportati affettuosamente dalle ali protettrici di Mamma Lucia, interpretata da Agostina Smimmero. La cantante, dotata di una voce particolarmente grave e suadente, trasmette un senso profondo di impotenza verso i disegni del destino, culminando in una caduta priva di sensi alla notizia della morte del figlio. L’interpretazione della regista Marina Bianchi presenta un Alfio estremamente positivo e forte ma non privo di espressività. Il cantante Gevorg Hakobyan è convincente nel ruolo del giustiziere del giovane Turiddu: la sua voce gravissima rende il personaggio distinto e degno di massimo rispetto. L’unica a rimanere fuori dalla confusione emotiva è Lola, resa dalla Bianchi come un vero e proprio personaggio di contorno, a momenti fin troppo assente. La cantante Martina Belli appare in scena come il sogno irrealizzabile di Turiddu da una parte e come visione effimera per Alfio dall’altra. Una di quelle ragazze che sono fortunate nella vita, scrive la Bianchi nelle Note di regia, e che quindi si curano poco degli altri. Così risulta l’atteggiamento di Lola nei confronti dei due uomini: da notare la sua presunta preoccupazione per l’assenza del marito in chiesa e l’immediata spensieratezza durante il rinfresco di Turiddu.
La bellezza della regìa di questa Cavalleria viene rafforzata notevolmente dalla direzione di Carminati che a momenti sembra far esplodere l’intera orchestra, tanto ci mette di sentimento ed espressività. Il suo impegno viene apprezzato dal pubblico per le continue interruzioni con calorosi applausi. L’orchestra e il coro lo seguono ciecamente, anche perché alcune pagine vengono proposte in tempi accelerati che, tuttavia, si compongono bene nella generale passionalità dell’interpretazione.