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Il pasticcio di Semiramide

di Francesco Lora
6 Ottobre 2013
in OPERA
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Opera • Il Theater an der Wien ha allestito nella Kammeroper la “Semiramide riconosciuta” di Vinci/Händel: sorprendente la qualità della giovane compagnia di canto ed esemplare l’allestimento firmato da Francesco Micheli


di Francesco Lora


COME DIRETTORE DEL PROPRIO TEATRO LONDINESE e come ideatore delle relative stagioni artistiche, Georg Friedrich Händel non si limitò a comporre nuove opere ma ne importò anche dall’Italia, adattandole al gusto del pubblico locale e alla caratteristiche dei nuovi cantanti. Dall’originale al pasticcio, tagliando e riscrivendo i recitativi, e trasponendo o sostituendo arie, egli dedicò particolare attenzione alle opere di Leonardo Vinci, fresche di grandi successi a Venezia, Roma e Napoli. La Semiramide riconosciuta data a Roma nel 1729 andò così in scena a Londra nel 1733, revisionata dalla radice e interpolata con arie di Corselli, Feo, Hasse, Leo, Porta, Sarro e Vinci stesso. Sia a causa della priorità data ai lavori tutti di mano di Händel, sia a causa dello stato frammentario delle fonti, i pasticci del Sàssone sono stati pressoché ignorati in età contemporanea; e questo è uno sbaglio: essi costituiscono un importante campo d’espressione del compositore e il suo principale agone di confronto con l’attualità italiana dell’epoca. L’allestimento della Semiramide riconosciuta di Vinci/Händel nella Kammeroper di Vienna (per il Theater an der Wien: dieci recite dal 23 settembre al 15 ottobre) è dunque atto di grande acume scientifico, oltre che restituzione all’ascolto dell’ennesimo capolavoro musicale e teatrale poco noto.

Nella buca d’orchestra del piccolo teatro viennese (250 posti circa) c’è posto per una ventina di strumentisti, perlopiù afferenti al Bach Consort Wien: li ha diretti il veterano Alan Curtis, con insolita vivacità e presentando una propria ricostruzione della partitura, molto tagliata e molto disinibita – vi è inserita anche un’aria dalla Semiramide riconosciuta di Porpora nella sua versione di Napoli 1739: dunque un autore non contemplato da Händel e un brano non ancora esistente al momento della preparazione del pasticcio – ma funzionale all’operazione. Operazione che rientra nel percorso formativo di una compagnia di canto giovanile e stabile, impegnata in parti minori negli spettacoli al Theater an der Wien e in parti principali in quelli ad hoc alla Kammeroper. Chi lo crederebbe? Di rado si è vista al lavoro una compagnia preparata in modo più rifinito e meglio disposta a investire fino all’ultima energia. Un esempio lampante: dei recitativi metastasiani non si perde una sillaba, un’allusione, un affetto, tanta è la cura posta nella dizione e nell’accento. E ciò sorprende tanto più se i membri della compagnia sono di provenienza ed esperienza disparate: Turchia, Israele, Italia, Gran Bretagna, Stati Uniti d’America e Lituania; da Monteverdi a Händel, da Mozart a Rossini, da Verdi a Puccini, da Rimskij-Korsakov agli Strauss.

Tra le signore si trovano le più interessanti rivelazioni. Il soprano Çiğdem Soyarslan, nella parte eponima, ha l’impostazione vocale importante di chi ha in repertorio anche la Gilda del Rigoletto e la Mimì della Bohème; al timbro brunito e alla generosa risonanza si unisce tuttavia una flessibilità inaspettata, che non teme la coloratura minuta, il gesto musicale o espressivo sottile; e l’attrice è consumata nello scandagliare il mobile animo della regina travestita, tradita, madre, vedova, amante, stratega. La freschezza e la leggerezza dell’altro soprano, Gan-Ya Ben-gur Akselrod, fanno a loro volta tutt’uno con le subitanee passioni e con i capricci adolescenziali della principessa Tamiri, resi con vocalizzazione facile disinvoltura scenica. Gaia Petrone, nella parte del traditore Sibari, è poi un caso raro di voce mediosopranile, smaltata e timbrata alla perfezione, capace di scendere con naturalezza a una tessitura di vero contralto: mezzi vocali degni dei migliori impieghi su scala internazionale. Più svelta è la cronaca sui signori, dal controtenore Rupert Enticknap come Mirteo (coraggioso in una parte di considerevole virtuosismo: gli spetta anche la superba aria «In braccio a mille furie», apparsa di recente in recital discografici di Franco Fagioli e David Hansen), al tenore Andrew Owens come Scitalce (assai impegnato in una parte in realtà scritta in chiave di soprano per il grande Carestini), fino al basso Igor Bakan come Ircano (il cantante mostra modi rozzi e spicci, ma proprio così Metastasio disegna il personaggio: dunque, nessuna obiezione).


Uno spettacolo esemplare: la trasposizione visiva ai nostri giorni avviene con mano delicata, senza offendere un solo verso poetico o una sola frase melodica


Rimane da dire dello spettacolo con regìa, scene e costumi firmati da Francesco Micheli. Uno spettacolo esemplare: la trasposizione visiva ai nostri giorni avviene con mano delicata, senza offendere un solo verso poetico o una sola frase melodica. La minuziosa cura della recitazione, al contrario, rivela la pregnante lettera teatrale e musicale di testi spesso creduti inamidati. C’è persino il regista che sa giocare – chapeau! – con le strutture musicali, per esempio quando Tamiri canta «Non so se degno sia» e, terminata la sezione mediana dell’aria col da capo, fa moto di voler abbandonare la scena e sfogare altrove il suo turbamento: ma Semiramide la trattiene in scena, costringendola da una parte a farsi carico dei propri affetti in faccia agli altri personaggi, dall’altra a rispettare l’inesorabile struttura musicale e a darle conclusione. E c’è soprattutto il regista in grado di lavorare nel testo, senza infliggergli sovrastrutture sociali o politiche o storiche estranee, ma piuttosto corredandolo di quei gesti muti che appartengono alla vita di ciascuno, che possono permeare i versi di Metastasio e aderire alle musiche settecentesche: il cercare il profumo della persona amata su un vestito rubato, l’addolorarsi davanti allo specchio per il travestimento che si è costretti a indossare, o per la perdita del travestimento che metteva a nudo la propria identità.

© Riproduzione riservata

Tags: Alan CurtisAndrew OwensBach Consort WienÇiğdem SoyarslanFrancesco MicheliGaia PetroneGan-Ya Ben-gur AkselrodGeorg Friedrich HändelIgor BakanRupert EnticknapTheater an der Wien
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Francesco Lora

Francesco Lora

È laureato in Discipline dell’Arte, della musica e dello spettacolo e dottore di ricerca in Musicologia e beni musicali (Università di Bologna), attualmente assegnista di ricerca in Musicologia e storia della musica (Università di Bologna, in precedenza Università di Siena). Con Elisabetta Pasquini dirige la collana «Tesori musicali emiliani» (Bologna, Ut Orpheus, 2009-) e vi pubblica in edizione critica l’Integrale della musica sacra per Ferdinando de’ Medici di Giacomo Antonio Perti (2010-11) e oratorii di Giovanni Paolo Colonna (La profezia d’Eliseo, L’Assalonne, Il Mosè legato di Dio e La caduta di Gierusalemme, 2013-21). Sue la monografia Nel teatro del Principe (sulle opere di Perti per Pratolino; Torino-Bologna, De Sono - Albisani, 2016) e l’edizione critica del manoscritto viennese Austriaco laureato Apollini (musiche di Ferdinando Antonio Lazzari, Giovanni Perroni e Francesco Maria Veracini, eseguite a Venezia, 1712, per l’incoronazione imperiale di Carlo VI d’Asburgo; Padova, Centro Studi Antoniani, 2016). Attende alla nuova catalogazione degli archivi musicali della Basilica di S. Petronio e di quella di S. Francesco in Bologna nonché dell’Opera della Metropolitana di Siena. Con Giulia Giovani cura la ricognizione e l’edizione dell’epistolario di Perti (Università di Siena). Collabora alla Cambridge Handel Encyclopedia, al Dizionario biografico degli Italiani, al Grove Music Online e alla Musik in Geschichte und Gegenwart. Dal 2003 è critico musicale per testate giornalistiche specializzate, inviato nelle massime istituzioni di spettacolo europee; collabora col «Corriere musicale» dal 2013. Nel 2020 la Fondazione Levi di Venezia gli ha conferito il Premio biennale “Pier Luigi Gaiatto”.

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