
(Il flauto magico)
opera in due atti
di Wolfgang Amadeus Mozart
libretto di Emanuel Schikaneder
(Proprietà Fondazione Teatro alla Scala)
Prima rappresentazione: Theater auf der Wieden, Vienna, 30 settembre 1791
Nuovo allestimento
Direttore ROLAND BÖER
Regia WILLIAM KENTRIDGE
Scene William Kentridge e Sabine Theunissen
Costumi Greta Goiris
Coreografia Jenifer Tipton
Video Catherine Meyburgh
Produzione Théâtre Royal del la Monnaie di Bruxelles,
Teatro di San Carlo di Napoli, Opéra de Lille, Théatre de Caen
Prezzi: da 187 a 12 euro
Infotel 02 72 00 37 44
Cast e distribuzione:
Sarastro Günther Groissböck
Tamino Saimir Pirgu (20, 24, 30 marzo; 3 aprile) /
Steve Davislim (22, 26 marzo; 1 aprile)
Sprecher / I Priester Detlef Roth
(Oratore / I Sacerdote)
II Priester Roman Sadnik
(II Sacerdote)
Königin der Nacht Albina Shagimuratova
(Regina della notte)
Pamina Genia Kühmeier
I Dame Aga Mikolaj
(I Dama)
II Dame Heike Grötzinger
(II Dama)
III Dame Maria Radner
(III Dama)
Papagena Ailish Tynan
Papageno Alex Esposito
Monostatos Peter Bronder
I Geharnischter Mann Roman Sadnik
(I Armigiero)
II Geharnischter Mann Simon Lim
(II Armigiero)
Date
domenica 20 marzo 2011 ore 20 ~ prima rappresentazione
martedì 22 marzo 2011 ore 20 ~ fuori abbonamento
giovedì 24 marzo 2011 ore 20 ~ turno M
sabato 26 marzo 2011 ore 20 ~ fuori abbonamento
mercoledì 30 marzo 2011 ore 20 ~ turno O
venerdì 1 aprile 2011 ore 20 ~ turno N
sabato 2 aprile 2011 ore 20 ~ turno G, OperaUNDER30
L’opera in breve
di Cesare Fertonani
dal programma di sala del Teatro alla Scala
Al di sotto della superficie fiabesca che ne occupa lo strato più accessibile e al di là del messaggio ultimo che la qualifica in modo inequivocabile come coronamento del pensiero illuministico in musica, «Die Strahlen der Sonne vertreiben die Nacht» [«I raggi del sole dissipano la notte»], Die Zauberflöte continua ad apparirci opera enigmatica per eccellenza. Enigmatica perché allegorica, allusiva ed elusiva in un gioco di livelli e rimandi di significazione di cui sembra di non riuscire mai a render ragione senza residui. Né può essere altrimenti se si considera che le notizie documentate sulla sua genesi sono rimaste piuttosto frammentarie alimentando il proliferare di leggende e dicerie; che la storia della critica e della recezione ha conosciuto controversie pressoché infinite non soltanto sui significati ma sulla qualità stessa dell’opera (del libretto, se non della musica); e che, infine, la pluralità dei piani e delle chiavi di lettura consente di moltiplicare gli approcci interpretativi pressoché all’infinito. In breve, tutto ciò ha accresciuto l’aura affascinante di un’opera unica e complessa come soltanto Mozart nel suo ultimo anno di vita poté concepire.
Die Zauberflöte è definita nel catalogo autografo, alla data del luglio 1791, «Eine teutsche Oper in 2 Aufzügen» [«Un’opera tedesca in 2 atti»], laddove peraltro la dicitura non dice molto di più della lingua del testo – sin da Die Entführung aus dem Serail [Il ratto dal serraglio] (1782) Mozart aveva manifestato il suo entusiasmo per il consolidarsi di un teatro musicale tedesco – e del riferimento formale, quello del Singspiel, in cui numeri musicali si alternano a parti recitate. L’opera nacque dal rapporto di amicizia di Mozart con l’attore Emanuel Schikaneder (1751-1812), che dal 1789 era impresario del Freihaus-Theater auf der Wieden. È probabile che Mozart e Schikaneder, autore anche del libretto, abbiano incominciato a lavorare al progetto sin dall’autunno del 1790. Mozart compose quasi tutta la partitura (a eccezione dell’Ouverture e della Marcia dei sacerdoti) nella prima metà del 1791, giacché in luglio e agosto fu occupato con la commissione imperiale della Clemenza di Tito.
Sostanziata dal pensiero illuministico e in particolare dagli ideali utopici di rigenerazione – morale, politica e sociale – della massoneria, cui Mozart e Schikaneder appartenevano entrambi, l’opera s’avvale di un libretto frutto della rielaborazione di diverse fonti. La principale è data dalle fiabe del Dschinnistan raccolte da Christoph Martin Wieland (1786-89), specie quella intitolata Lulu, oder die Zauberflöte [Lulu, o Il flauto magico] di August Jakob Liebeskind; sempre da Wieland e da Sophie Friederike Hensel era stato tratto il soggetto del Singspiel Oberon, König der Elfen [Oberon, re degli Elfi] di Karl Ludwig Giesecke e Paul Wranitzky, rappresentato da Schikaneder nel 1789. L’ambientazione egizia e l’apporto di idee massoniche derivano invece essenzialmente dal saggio Über die Mysterien der Ägypter [I misteri degli Egizi] di Ignaz von Born (1784), dal dramma Thamos, König in Ägypten [Thamos, re d’Egitto] di Tobias Philipp von Gebler (1774) per il quale Mozart aveva scritto delle musiche di scena nel 1779, e dal romanzo Séthos (1731) di Jean Terrasson nella traduzione di Matthias Claudius (1777-78).
Die Zauberflöte può essere vista anzitutto come la rappresentazione di un rituale di iniziazione massonica nel quale s’invera l’affermazione di nuovi valori universali. Nell’allegoria e nelle simmetrie di simbolismi che contrappongono il freddo oscurantismo (il male) del regno della Regina della Notte alla calda luce della ragione (il bene) del regno di Sarastro s’inscrive il percorso che conduce, attraverso una serie di prove, la coppia di eletti Tamino e Pamina alla conquista di una superiore dimensione etica e spirituale nel segno dell’amore inteso come consapevole, suprema realizzazione dell’armonia nel mondo degli uomini. Dimensione, questa, alla quale fa riscontro quella inferiore e complementare impersonata dalla naturale, inconsapevole semplicità di Papageno, che alla fine riceverà comunque in premio la sua Papagena. Sulla base della popolare Zauberoper, connotata dalla compresenza del meraviglioso e dello spettacolare, del comico e del sentimentale, Mozart, che intervenne in misura cospicua sul libretto di Schikaneder nel corso della composizione, innestò un’interpretazione musicale tale da trascendere ogni tradizione e convenzione. Nel segno di una drammaturgia shakespeariana coesistono e interagiscono, come elementi organici di uno stesso mondo fantastico, il serio e il comico, il sublime e il triviale, la solennità del rito iniziatico e la banalità della vita quotidiana. Per questa geniale sintesi di arte ‘alta’ e arte ‘bassa’ Mozart ricorre a un gamma, inaudita per ampiezza e varietà, di registri stilistici e di idiomi espressivi, sulla linea del nuovo teatro musicale sviluppato con Die Entführung aus dem Serail e poi, soprattutto, con la trilogia di opere su testo di Da Ponte: gamma riconducibile di volta in volta al Singspiel, all’opera seria o a quella comica italiana, alla tragedia gluckiana, alla riscoperta del contrappunto, alla musica massonica e il cui collante è costituito dall’autonomia significativa e dalla pregnanza drammatica del linguaggio strumentale.
Dalla prima rappresentazione il 30 settembre 1791, cui presero parte nei diversi ruoli virtuosi come Josepha Hofer (Regina della Notte) e attori-cantanti come lo stesso Schikaneder (Papageno), il successo andò via via crescendo per assumere ben presto respiro planetario.
IL SOGGETTO
dal programma di sala del Teatro alla Scala
L’azione si svolge in un antico Egitto immaginario.
Atto I
Paesaggio montuoso, sullo sfondo un tempio.
Tamino, vestito da cacciatore, entra in scena inseguito da un serpente. Sopraffatto dall’emozione, cade svenuto. Le porte del tempio si aprono ed escono tre damigelle che, ucciso il serpente, ammirano il volto del giovane e in fretta si allontanano per avvertire la Regina della Notte. Tamino, ripresi i sensi e visto il serpente morto, si stupisce e crede di dovere la sua salvezza a uno strano personaggio appena comparso: è Papageno, un uccellatore vagabondo vestito di piume, che suona un piccolo flauto. Papageno non
smentisce, ma è subito punito per la menzogna dalle tre damigelle ricomparse, che gli chiudono la bocca con un lucchetto d’oro. Intanto le fanciulle mostrano a Tamino il ritratto della figlia della Regina della Notte: la bellezza della giovane infiamma il suo cuore. Ma la fanciulla è stata rapita dal malvagio Sarastro; e Tamino, ormai conquistato dalla sua avvenenza, si offre di salvarla. Le damigelle allora porgono a Tamino un flauto d’oro, dotato di poteri magici, liberano Papageno dal lucchetto e gli ingiungono di seguire Tamino fino al castello di Sarastro; anche a lui consegnano uno strumento magico, un carillon.
Sala nel palazzo di Sarastro.
Pamina ha tentato di fuggire per sottrarsi alle insistenze di Monostatos, ma è stata ripresa da costui e ora viene ricondotta con la forza nel palazzo. Monostatos vede Papageno, si spaventa e fugge; così Papageno può avvicinare Pamina, rivelarle di essere stato mandato dalla madre di lei, con un giovane principe, per liberarla. I due fuggono.
Un bosco.
Entra Tamino guidato da tre geni. Si vede il tempio di Iside: due porte sono chiuse, quella della Ragione e quella della Natura; un’altra, quella della Sapienza, si apre e un sacerdote spiega a Tamino che Sarastro non è uno stregone crudele e che è stato indotto per giusti motivi a sottrarre Pamina all’influenza della madre. Lo rassicura comunque che la fanciulla è viva. Tamino e Papageno, che scorta Pamina, si cercano a lungo nel bosco, servendosi dei loro strumenti per farsi sentire, e il carillon si dimostra utilissimo per mettere in fuga Monostatos e i suoi uomini che stanno per catturare Papageno e Pamina. Compare Sarastro: Pamina chiede perdono della fuga e ne spiega i motivi. Sarastro si dichiara pronto a concederla in sposa a un cavaliere degno di lei, ma non potrà mai lasciarla tornare dalla madre. Tamino viene trascinato in scena da Monostatos; i due giovani, che non si sono ancora mai visti, si gettano l’uno tra le braccia dell’altro, mentre Monostatos, che ha chiesto una ricompensa per il suo operato, viene punito.
Atto II
Bosco di palme con architetture.
Sarastro si rivolge ai suoi sacerdoti perché si prendano cura di Tamino desideroso di affrontare le prove che gli verranno assegnate per entrare a far parte della schiera degli iniziati e per sposare Pamina.
Atrio del tempio.
Tamino e Papageno incappucciati si preparano, saldo nel suo proposito il primo, colto da improvvisi terrori il secondo. La prima prova che li aspetta è il silenzio. Rimasti soli, i due sono avvicinati dalle tre damigelle della Regina della Notte che cercano in ogni modo di dissuaderli dall’impresa,ma invano.
Un boschetto.
Monostatos si avvicina furtivamente a Pamina addormentata e cerca di baciarla. Sopraggiunge la Regina della Notte a proteggere la figlia che si getta nelle sua braccia felice, cercando consolazione per quello che lei crede l’abbandono di Tamino, tutto preso dalle sue pratiche d’iniziazione. La Regina della Notte affida alla figlia un pugnale per uccidere Sarastro, ma Monostatos, che tutto ha sentito, minaccia di rivelare l’intrigo. Sopraggiunge Sarastro, che caccia Monostatos e rassicura la fanciulla dicendo che non la vendetta, ma l’amore, conduce alla felicità.
Atrio del tempio.
Tamino e Papageno continuano la loro prova. Compare una vecchia orrenda che dichiara di essere Papagena e si mette a parlare con Papageno, finché non scompare con grande fragore di tuoni. Nel cielo appare una tavola imbandita a cui i due iniziati possono rifocillarsi prima di continuare la prova. Richiamata dal flauto di Tamino, Pamina entra in scena, ma l’amato non può parlare ed ella, sconvolta, tenterà di uccidersi: la salveranno i tre geni rassicurandola sui sentimenti dell’innamorato. Ora Tamino deve superare altre prove: quella del fuoco e quella dell’acqua. Pamina ha seguito l’innamorato e gli consiglia di suonare il flauto magico. Le prove sono così superate.
Un giardino.
Papageno si dispera perché per un attimo gli è apparsa Papagena, divenuta giovane e bella, ma subito è sparita. Il suono del carillon la farà ricomparire.
Paesaggio di rupi scoscese.
La Regina della Notte, con Monostatos e le tre damigelle, cerca di avvicinarsi nascostamente al tempio per introdursi e uccidere Sarastro. Ma la terra, scossa da un terremoto, si apre per inghiottirli.
Nel tempio del Sole.
Sarastro in trono, circondato dai sacerdoti, con Tamino e Pamina celebra la vittoria del
Sole sulle Tenebre.
(comunicato stampa)