Recensione • Unica data italiana per il violinista americano, l’altra sera al Teatro Ponchielli per l’inaugurazione della stagione concertistica
di Laura Mazzagufo
LA stagione concertistica del Ponchielli non smentisce il suo appetito per i grandi nomi del concertismo internazionale. Quest’anno, in attesa di battezzare il nuovo Museo del Violino (l’apertura è prevista per marzo 2013), predilige i fuoriclasse dello strumento che di Cremona ha fatto la storia: Viktoria Mullova, Pavel Berman, l’ormai habitué Sergej Krylov. Ma per il concerto inaugurale punta su una vera e propria “superstar” del violino: l’americano Joshua Bell, accompagnato al pianoforte da Sam Haywood.
Era il 1981 quando, quattordicenne, Bell catturava i riflettori della scena internazionale debuttando con Riccardo Muti e la Philadelphia Orchestra: da allora quelle luci lo seguono ovunque, in tournée nei vari continenti e nelle metropolitane di Washington, durante le numerosissime incisioni discografiche e quando gira documentari per la BBC. Ed eccolo, giovedì sera, calcare il palco del teatro cremonese, con quel suo fare fanciullesco, la camminata quasi saltellante, un sorriso smagliante e l’aria di chi conosce bene il suo mestiere. Joshua Bell imbraccia il suo «Strad» (lo Stradivari “Huberman”, 1713) e si fionda nel vortice di note, nel virtuosismo da capogiro, nella trama di preziosismi del suo ciclonico programma. L’inizio schubertiano (Rondò brillante in Si minore op. 70 D.895) dice già gran parte di quanto la serata promette: esecuzione tecnicamente impeccabile, pulizia quasi maniacale, sicurezza ai limiti dell’impertinenza, leggerezza adamantina, il tutto incorniciato da un classicheggiante gusto per l’equilibrio.

Convincente l’intesa con Sam Haywood, frutto di una già collaudata esperienza di lavoro in coppia: il pianista sa calibrare i volumi e modulare il fraseggio restando coerente alle scelte espressive di Bell; e se generalmente resta all’ombra del solista lo fa con intelligenza, facendo sentire la propria presenza nei momenti di dialogo e dando risalto al ricamo virtuosistico del violino in quelli di accompagnamento. L’impressione resta la stessa con la Sonata in Mi bemolle op. 18 di Strauss: un’opera giovanile decisamente classica nella forma ed esuberante nell’invenzione melodica. Bell è capace di suonare i capolavori tecnicamente più intricati con scrupolosissimo controllo e insieme la freschezza di un ragazzino imprudente. È impensabile interrogarsi su note giuste, corretta intonazione, dinamiche coerenti: l’ascolto è catturato dalla bellezza del suono, dalla potenza fascinosa della musica. Come nelle ultime battute del secondo movimento, pagina di squisita finezza, in cui la voce del violino si dissolve nel registro acuto in un pianissimo impalpabile che sembra scritto per valorizzare l’agilità di Bell nelle zone estreme della tastiera.
Se i Tre preludi di Gershwin (nella trascrizione per violino e pianoforte di Jascha Heifetz) che seguono l’intervallo hanno il carisma dell’assolo di una rock star, la Sonata n.2 in Re maggiore di Prokof’ev aggiunge poco a questa serata scintillante: l’altrove efficacissima intesa con Haywood perde un po’ del suo smalto e alcuni momenti soffrono di una certa opacità. Un peccato, perché qui ci aspettavamo invece qualcosa di più delle mirabolanti acrobazie di un raffinato funambolo. È, infine, il momento del bis, irrinunciabile per uno showman come Bell. Ne concede due: la Zingaresque di Pablo de Sarasate (quasi d’obbligo!) e un mieloso arrangiamento per violino e pianoforte del Notturno in Do diesis minore (o. op. KK IVa/16) di Chopin. Applausi sempre più calorosi. E come se tanto non fosse bastato a far sciogliere il pubblico in ovazioni, gran sorrisi e frenetici battimani, Bell si scusa di non parlare l’italiano: «lui invece sì – dice sollevando il prezioso strumento da 4 milioni di dollari – ed è molto felice di essere a casa». Ancora una volta tocca le corde giuste: il teatro cremonese è definitivamente conquistato. Ma, Don Giovanni dei grandi teatri, Mr. Bell ha già un piede sull’aereo per San Pietroburgo.