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Diario londinese/1 • Alla guida della Philharmonia Orchestra, presso la Royal Festival Hall, il direttore statunitense ha interpretato L’oiseau de feu di Stravinskij e il secondo concerto pianistico di Prokof’ev con Daniil Trifonov
di Attilio Piovano
L’atmosfera natalizia si respira ovunque, e non solo da Harrods con le sue dodici policrome vetrine dedicate quest’anno – lo sanno tutti – a Biancaneve, Bella addormentata, Sirenetta & Co. Sono le 7,30 p.m di giovedì 13 dicembre, come d’abitudine in territorio GB, sulle sponde del Tamigi il freddo è pungente e i mercatini esalano profumi e aromi di ogni tipo. Pochi passi e già solo entrare in sala – si tratta della Royal Festival Hall (al Southbank Centre) – regala intense emozioni. Le luci si abbassano, il pubblico gremisce per intero la sala (molti i giovani e fa piacere constatarlo) e sul podio, sorridente e gioviale come sempre, Lorin Maazel alla guida della blasonata Philharmonia Orchestra, in assoluto uno dei più straordinari complessi mondiali. L’abbiamo ascoltata molte volte, pur tuttavia l’inconfondibile ‘suono’ di tale celeberrima compagine colpisce fin dal primo istante. Apertura nel segno di Stravinskij e dell’inossidabile Suite da L’oiseau de feu che il grande Maazel dirige per intero a memoria giocando su un incredibile range di raffinatezze timbriche. Deliziose trasparenze e pacati fraseggi che si assaporano con piacere; ancora una volta si sprigiona quel clima a metà tra onirico e fiabesco che della pagina è l’essenza. Per contro ecco poi subito le telluriche incandescenze dei passi sferzati da ritmi frenetici. Maazel governa il tutto con mano salda, il consueto magnetismo, la proverbiale comunicativa e la Philharmonia risponde come una ‘macchina’ meravigliosa. La perfezione tecnica è pressoché assoluta, il suono di una bellezza e, verrebbe da dire, di una esattezza ineccepibili. E l’animo russo emerge con tutta la sua pregnanza, restituendo quella melanconia di fondo che dell’Oiseau è la cifra inconfondibile. Magistrale per equilibrio e calibrato dosaggio il catartico epilogo.

Ancora un russo in seconda posizione, il Prokof’ev del pianistico Secondo Concerto op. 16. Solista l’ormai affermato Daniil Trifonov che coglie bene il senso rapsodiante dell’Andantino, per lo più cupo e assorto (ma appare fin troppo irruente nella virtuosistica cadenza), mentre del lancinante e conciso Scherzo Trifonov molto opportunamente focalizza la tipica temperie. Bene il carattere agrodolce e grottesco dell’Intermezzo e da ultimo il virtuosismo motoristico del Finale, pagina enigmatica, sfuggente e straniante. Gradito bis nel segno di Rachmaninov. E di Rachmaninov si ascolta in apertura della seconda parte la Fantasia orchestrale op. 7, ‘La rupe’ che è pagina niente affatto geniale, frutto di un Rachmaninov appena ventenne. Maazel e Philharmonia fanno il possibile per attenuarne (riuscendoci solo in parte) l’inevitabile verbosità e l’inconcludenza scipita. Chiusura ancora in territorio russo con il Poema dell’estasi del misticheggiante Skrjabin. Ed è una gioia per le orecchie la quantità di screziature timbriche poste in atto (grazie a prime parti di altissimo livello ed un amalgama di puro conio). Il Poema dell’estasi è in realtà una di quelle pagine che possiedono la fragranza di certi profumi fin troppo intensi e finiscono talora per stordire. La lettura di Maazel è ammirevole per precisione e per la capacità di ottenere una singolare bellezza di suoni. Sicché si finisce per restare ammaliati da questa particolare partitura, visionaria e profetica, voluttuosa ed estatica, sensuale e ardente, con l’irresistibile, trionfante apoteosi conclusiva che strappa un mare di applausi. All’uscita dalla sala sul Waterloo Bridge il freddo paradossalmente è ora meno pungente. E dire che Maazel e la Philharmonia ci hanno condotto per mano attraverso un incredibile tour musicale in territorio russo: in realtà scaldandoci l’animo e il cuore con una quantità di emozioni che ci accompagnano a lungo durante la prima serata della nostra trasferta londinese.
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