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Concerti • Programma in stile british per il tradizionale appuntamento del Teatro La Fenice alla Basilica di San Marco, quest’anno con la direzione di Stefano Montanari
di Elena Filini
M eno smart dell’inaugurazione ma di maggiore valore simbolico è il Concerto di Natale del Gran Teatro la Fenice proposto, come tradizione, alla Basilica di San Marco in due serate (la prima per gli ospiti, la replica per il pubblico pagante). Neve sulle barene e quel négligé sempre attento che caratterizza l’abito veneziano sono la nota di corredo all’oro luminoso dei mosaici, orgogliosi e attenti a guardare all’ingiù il lieto adagio sociale di riservati e transenne per gli auguri di Natale a San Marco di Sindaco, Patriarca e Sovrintendente. Per una notte si fa ancora come se Venezia fosse quella città-mondo di cui porta in qualche modo l’aura.
Cambio veloce d’abito per orchestra e coro dopo la doppia première con Otello e Tristan per un Natale in stile british, diviso tra la Suite Gordian Knot Unty’d 597 di Henry Purcell, due arie per soprano dal Messiah, la Sinfonia dal Solomon e il Concerto grosso op.6 n. 7 di Händel e il Magnificat di Raph Vaughan Williams. Bach in un progetto musicale così concepito suona più come un’interferenza, anche se il numero proposto è dall’Oratorio di Natale (recitativo ed aria Du Flascher…Nur ein Wink von seinen Haenden). Senza dubbio il cuore del programma è costituito dalle musiche di scena di Purcell: una suite ombrosa e cangiante, dove l’eleganza un po’ blasée dei ritmi di danza si mescola alle seduzioni del tipico stile purcelliano fatto di tonalità minori, incisi dissonanti, accordi diminuiti. Una proposta di interesse è il Magnificat di Ralph Vaughan Williams, lavoro per contralto e coro femminile del 1925, che risente della forte simpatia con lo stile elisabettiano e rappresenta – nell’impianto del concerto – un’occasione peraltro rara di contatto con la musica religiosa di ascendenza colta del XX secolo inglese (se si eccettua il War Requiem di Britten).
Silvia Frigato è oggi considerata una delle più interessanti specialiste nel repertorio cinque-seicentesco grazie alla purezza del suono, all’uguaglianza di emissione, alla pregevole intonazione e alla perfetta pronuncia. Le ottime credenziali di questa interprete sembrano solo soffrire un poco nelle pagine settecentesche, dove si richiederebbe un po’ di carne in più alla voce e forse maggiori abbandoni, soprattutto nella dinamica con l’orchestra di un teatro lirico. Convincente e pertinente la prestazione di Marta Codognato, artista del coro presso l’ente lirico veneziano, Maria di bel colore ambrato nel lavoro di Vaughan Williams.
L’Orchestra del Teatro La Fenice offre una prova di buon rigore professionale, suono tondo e morbido. Forse potrebbe cercare dinamiche timbriche decisamente maggiori in questo repertorio, slegare l’immaginazione al contrasto tipico della musica barocca, osare qualche forma di salutare impertinenza stilistica. Nella prima parte del programma pare un poco intimidita, pronta invece a trovare buoni accenti dal Concerto grosso in avanti.
Pubblico ad invito e quindi per lo più assopito. Peccato. Il teatro e le sue masse artistiche, i solisti e la sempre vitale direzione di Stefano Montanari avrebbero meritato qualche applauso in più.
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