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Doppia Recensione • Al Ponchielli di Cremona si è esibita l’orchestra che dal 1969 si dedica alla formazione dei giovani: i suoi membri non hanno più di vent’anni. Al pianoforte Markus Schirmer
di Laura Mazzagufo
U n Egmont asciutto e squadrato, senza fronzoli, quello che apre il secondo appuntamento della stagione concertistica del teatro cremonese. La celebre ouverture beethoveniana piace fin da subito e non c’è dubbio che, se da un lato sentire dei “bravi!” a nemmeno dieci minuti dall’inizio del concerto non è cosa di tutti i giorni, dall’altro a sollecitare i generosi apprezzamenti del pubblico concorre la giovane, anzi giovanissima, età degli orchestrali. Nessuno sopra i vent’anni nella Bundesjugendorchester, una delle più acclamate orchestre giovanili su scala mondiale che dal 1969 calca le scene internazionali in intense tournée sotto la guida di direttori quali Kurt Masur, Gerd Albrecht e Dennis Russell Davies. Questa volta sul podio c’è Michael Sanderling, già apprezzato violoncellista, da diversi anni dedito con successo alla direzione: una tradizione di famiglia. Il suo Beethoven è sostenuto, pacato ma netto nei contrasti, non lascia spazio ad indugi e gesti languidi, un’istantanea intrisa di germanicità: non si può non apprezzare la coerenza. Stona lievemente, oltre alla sezione degli ottoni, la gestualità ipertrofica della direzione, ma poco importa se il risultato è così buono. L’orchestra è reattiva, diligentissima.

Dal momento che il nuovo anno offre tante occasioni di celebrazioni musicali, perché non approfittarne: il centenario dalla nascita di Benjamin Britten è un buon pretesto per proporre il suo Concerto per pianoforte e orchestra op.13, sporadico frequentatore delle sale da concerto. Composta per un Promenade Concert nell’agosto 1938, dopo gli impegnativi pezzi strumentali degli anni ’30, questa pagina appare quasi come un temporaneo abbandono della rassicurante, ma limitante, compostezza da giovane rispettabile inglese in favore di una concessione alla sensualità.

E calda ed eloquente è l’interpretazione di Markus Schirmer, pluridecorato della tastiera. Lodevolmente impegnato nella didattica, dimostra appunto di saperci fare con i giovani: il suo tocco calza bene sul suono dell’orchestra e nei tempi e nelle intenzioni dinamiche l’intesa c’è. La prova di Schirmer non spicca particolarmente nell’insistenza percussiva della Toccata ma la cadenza è intrisa di lucidità e controllo e le sue rinomate capacità espressive non banalizzano la sezione lenta. Il successivo Waltz è un banco di prova non indifferente tanto per il pianista quanto per l’orchestra: nessuna sorpresa sulla bravura dei singoli solisti, confermata nelle parti di assolo su cui la melodia iniziale rimbalza con gran naturalezza. Sulla “Marcia” conclusiva qualche piccola perplessità: mancava un po’ di personalità a quella «irritatingly smart vulgarity» (con parole di Peter Evans) che, se abbandonata a se stessa, rischia di scivolare nel pacchiano.
Per Schirmer è ora di congedarsi: il primo bis è la Melodia Ungherese di Schubert, parente stretta di quel piccolo gioiello per pianoforte a quattro mani che è il Divertissement à l’hongroise; augura infine buon appetito con “Pane e burro”, piccola burla mozartiana, omaggio alla buona semplicità… non solo dell’orecchio. La seconda parte della serata è tutta dedicata al “Petruška” di Stravinskij. Ironica e brillante, illuminata da una stringente logica e chiarezza, la pagina del compositore russo è eseguita dignitosamente: sostenuta dal rinnovato brio degli ottoni e da esuberanti percussioni, l’orchestra resta al massimo della concentrazione fino all’ultima nota e la resa è alta, nonostante le difficoltà tecniche, anche nelle zone di politonalità più esplicita.
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