Concerti • La formazione sinfonica ospite del capoluogo piemontese incanta con Mozart e Dvořák; meno convincente e con qualche problema di intonazione il solista nella seconda parte di serata
di Attilio Piovano
TERZO CONCERTO DI STAGIONE, per Lingotto Musica, martedì 3 dicembre, a Torino. Dopo l’inaugurazione mahleriana con la Staatskapelle Dresden e dopo i Cameristi di Basilea (a fine ottobre) con l’Estonian Philharmonic Chamber Choir sul versante del Requiem mozartiano, ora è stata la volta della Prague Chamber Orchestra, molto opportunamente dislocata sul vasto palco del Lingotto con corretto ed apposito posizionamento degli specchi acustici, sì da rimandarne il suono in tutta la sala. Apertura di serata nel segno di Mozart: dell’Adagio e Fuga K 546 (trascrizione per archi della Fuga per due pianoforti K 426 con l’aggiunta dell’introduzione lenta) i validi cameristi praghesi hanno ben colto l’austera severità dell’esordio per poi affrontare la Fuga dalle sorprendenti modulazioni con un’esattezza ritmica di cartesiana precisione (e dire che suonano senza direttore). E pazienza per qualche asprezza timbrica.
Questa stessa esattezza ed il loro composto rigore interpretativo parevano tradursi in un limite oggettivo, a metà serata, con lo schiudersi della bellissima ed effusiva Serenata op. 22 di Dvořák, gioiello insuperabile di grazia e soavità traboccanti. Un inizio con un che di lievemente ingessato: ci aspettavamo qualche abbandono in più, soprattutto immaginando che i cameristi praghesi Dvořák lo abbiano nel DNA. E infatti così è stato. E allora che gioia sentirli “decollare” nel suadente Tempo di Valse, e poi via con le fresche e argentine atmosfere dell’incandescente Scherzo, una corsa a briglie sciolte dal rustico profumo di terra boema. Il merito è quello di aver restituito alla stupenda Serenata la sua giusta dimensione cameristica, depurandola dai turgori eccessivi di certe esecuzioni a piena orchestra davvero fuori stile, ridonandole tutta la fragranza sorgiva che la caratterizza: con quelle levigate superfici melodiche, il gioco dei controcanti, la delicatezza un poco frale delle armonie. Appena il rischio di qualche sbadiglio nel pur stupendo Larghetto “soffuso di slava malinconia”, ma poi la gioia del vivace finale e da ultimo l’affettuosa riapparizione del tema d’inizio come uno struggente ricordo. Esecuzione di buon livello all’insegna di compostezza e professionalità.
Meno convincente il versante solistico, con Vadim Repin pur violinista di lusso nel Concerto di Mendelssohn, ma non quello celeberrimo, bensì quello in re minore (scritto a soli tredici anni) dall’accigliato primo tempo memore di austerità gluckiane. Repin è un virtuoso eccellente, certo, pur tuttavia varie imprecisioni di intonazione hanno offuscato la sua performance. Apprezzato il pathos del tempo lento e poi via con la verve energetica del finale impregnato di vari umori. Bene, ma senza eccessive emozioni. Pubblico invece in visibilio per la Carmen Fanthasy di Franz Waxman celebrato autore di musiche da film (confezionata con cura, mestiere e buon artigianato, ma senza troppi guizzi, in fondo Sarasate seppe fare molto meglio). Brano di bravura che, trascorrendo con arguzia attraverso i più noti temi dell’immortale partitura di Bizet, dall’Habanera in giù, si conclude con un vero tour de force. E allora applausi scroscianti e invasamento del pubblico. Ma non tutto era oro fino. Se Repin è ammirevole per la velocità e un certo magnetismo (ma non sempre), non lo è altrettanto sul piano dell’esattezza di intonazione. Al momento il suo tallone d’Achille. Bis funambolico con le paganiniane Variazioni sul Carnevale di Venezia con tanto di pizzicato degli archi avviati come un meccanismo a molla. Ovazioni, ma molti torinesi ricordavano Repin in quello stesso bis non più di due mesi fa nella stessa sala, per MiTo coi cameristi di Monaco. Una pianista – per dire – non indosserebbe lo stesso (vistoso) abito rosso in recital, nella medesima città, nella stessa sala dopo così poco tempo. Perché non fare altrettanto coi bis? Basta un calepino, un’agendina per gli appunti (o un tablet).
© Riproduzione riservata