
Il sestetto vocale ha partecipato alla quinta edizione del London a Cappella Festival
di Michele Manzotti
LEGGENDO IL NUMERO DEI COMPONENTI e i registri vocali che sono rappresentati all’interno del gruppo, il pensiero va inevitabilmente ai King’s Singers. Eppure il concerto che i The Songmen hanno tenuto alla quinta edizione del London a Cappella Festival era tutto esaurito da alcuni giorni. Segno che in una rassegna che preferisce puntare sulla vocalità con amplificazione c’è ancora spazio non tanto e non solo per la classica, ma anche per atmosfere più sofisticate. Perché nel concerto proposto dai The Songmen a brani di madrigalisti o di autori come Francis Poulenc si accompagnavano alcuni brani popolari e standard jazzistici. La formazione, in attività dal 2010, si presenta con due controtenori (Guy Lewis e Ben Sawyer), un tenore (Rob Waters), due baritoni (Chris Monk e Nick Ashby) e un basso (John Beasley). Con già due album pubblicati (uno prodotto dall’ex King’s Singers Philip Lawson), The Songmen propongono un repertorio variegato e non strutturato rigorosamente in ordine cronologico. Si parte ad esempio da brani sacri di Claudio Monteverdi e Thomas Weelkes subito seguiti da Silence e Sound di uno dei componenti come Ben Sawyer. In pratica si tratta di un primo blocco tematico seguito da altri come tradizione popolare, amore e infine la Guerre di Clément Janequin posta al termine dell’esibizione. Il sestetto, che si esibisce a memoria, dà la sensazione di puntare alla valorizzazione delle singole capacità vocali all’interno di una disciplina di gruppo molto rigorosa. Ci sono momenti in cui non manca il tipico sense of humour britannico affidato alle espressioni facciali dei componenti, ma è sicuramente la resa musicale il primo obiettivo dei The Songmen. Una lezione di stile che è sottolineata particolarmente nella selezione delle Chanson Françaises di Francis Poulenc interpretate con la dovuta leggerezza legata agli argomenti popolari, sottolineando con forza la struttura novecentesca tipica del suo autore (come nel ritmo di Pilon l’orge e nella melodia di Clic, clac, dansez sabots). Compito arduo che si è ripetuto negli standard jazzistici, tra cui Crazy ‘bout my baby di Fats Waller, dove l’atmosfera si è trasferita immediatamente dagli Stati Uniti alla vecchia Europa. La parte madrigalistica è assimilata dal gruppo in modo naturale tanto da far sembrare la già citata Guerre come un normale esercizio di bravura. Esibizione che però produce un grande entusiasmo da parte di un pubblico molto attento. Il bis, l’Ouverture del Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini, faceva parte anch’esso come il brano di Janequin del repertorio dei King’s Singers. Ma abbiamo la convinzione che The Songmen seguano la loro strada originale senza avere il timore di far pensare a qualsiasi altra formazione.
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