A Torino per OSNRai il violinista e star del cinema. Una superba Quinta di Bruckner magnificamente diretta da Netopil
di Attilio Piovano
AUDITORIUM TOSCANINI DELLA RAI, a Torino, gremito all’inverosimile, le sere di giovedì 5 e venerdì 6 marzo, balconata compresa e zona del ‘coro’ invasa, moltissimi i giovani e i giovanissimi (specie le giovanissime) ed è un dato beninteso molto positivo e di tutto rilievo: vistosa poi la presenza di un folto pubblico per così dire nuovo e forse occasionale, al di là dei visi noti dei consueti abbonati. La ragione è presto detta: ospite di lusso (attesissimo) il violinista David Garrett, personaggio oggi noto ben al di là del pubblico degli appassionati di classica e dei consueti frequentatori delle sale da concerto. Nel 2013 infatti Garrett ha interpretato il film «Il violinista del diavolo» per la regìa di Bernard Rose del quale ha anche composto la colonna sonora, fondata su melodie un poco troppo zuccherose e di immediato appeal (film a tratti noioso, su una sola tranche, quella londinese, della vita del violinista) che pur tuttavia ha fatto il pieno di consensi e gli ha garantito celebrità pressoché universale.
Beninteso, Garrett è un violinista di tutto rispetto, con un palmarès di livello, solidi studi e le carte in regola, ci mancherebbe, nonché primo assoluto a firmare un contratto per la prestigiosa DG a tredici anni, e scusate se è poco. È però anche un musicista trasversale per così dire che non disdegna frequentazioni di musica dal rock in avanti e rivisitazioni (talora) azzardate dei classici. Da qui, facile comprenderlo, la netta divisione del pubblico, da una parte i cultori tradizionalisti e un po’ conservatori, i puristi che (invero con eccessivo rigore) storcono il naso e obtorto collo non gli perdonano la notorietà mediatica, dall’altra le orde di fans specie giovanissimi e non solo: Garrett è anche fascinoso con quel suo sguardo penetrante da artista maledetto e un look, più ancora un atteggiamento, trasgressivi, con anfibi e camicia sbottonata, capelli raccolti a crocchia, trasgressivo fin dalla postura, con mano nella tasca in attesa di ‘entrare’ come solista, mentre l’orchestra suona e via elencando. Fans che con aproblematico candore gridano al miracolo e non si pongono questioni di sorta adorandolo ‘a priori’. E lo si è ben compreso dall’ovazione che lo ha accolto in sala, alla Rai, prima ancora che il direttore Tomas Netopil (graditissimo ritorno a Torino) attaccasse il Concerto in re maggiore op. 77 di Brahms che si sa è un capolavoro assoluto.
E dunque, luci ed ombre nella singolare interpretazione di Garrett. Che ha buona tecnica, senza dubbio, anche se talora la sua esuberanza lo porta ad eccedere e allora l’intonazione non sempre è perfetta. Tra le luci, più o meno abbacinanti, occorre ammetterlo, ci sono stati senza dubbio alcuni momenti sublimi nell’Adagio centrale, dove l’intesa tra solista e orchestra è parsa a posto, suoni pianissimi di indicibile bellezza e altro ancora. Non tutto era oro colato invece nel primo tempo, qua e là suoni aspri, un che, come dire, di ‘non rifinito’ (intenzionale, di sicuro) ed intemperanze varie, per contro passi affrontati con sbalzi ritmici e insolita pacatezza e allora qualche (minima) difficoltà di intesa con l’orchestra, sicché in complesso ne è emerso un Brahms un poco stranito, come un altro Concerto, questa almeno l’impressione che ne ha ricavato chi scrive.
Nulla di tutto ciò deve aver percepito il pubblico di ragazzini che a fine primo tempo ha applaudito lungamente con ovazioni da stadio e Garrett in inglese ha detto, più o meno, che molto bene avevano fatto ad applaudire, un tempo si faceva così ed anche alla prima esecuzione del capolavoro brahmsiano, a suo dire, sarebbe avvenuto altrettanto. Piglio energetico e un incedere giustamente zingaresco per il finale che, salvo la bizzarria di un fraseggio a dir poco curioso per il tema iniziale, è filato via liscio, con innegabile effetto, anche se invero, altri violinisti riescono ad essere ancor più magnetici incatenando l’ascoltatore, ben al di là dell’aura mediatica, con mezzi esclusivamente musicali. La curiosità poi della cadenza di Kreisler, in luogo di quella originale, ulteriormente rivisitata da Garrett stesso, come da copione. Bis bachiano, alla faccia di chi si aspettava i funambolismi di Paganini, un Bach sostanzialmente ‘pulito’, con le polifonie bene a posto (anche qui un che di non perfettamente rifinito, mancava quel nitore adamantino e ascetico che altri garantiscono), un Bach dai tratti comunque incisivi, salvo qualche scivolata di frizione sul piano timbrico, come nella frase finale ‘ad effetto’, ma un poco fuori stile.
Poi una Quinta di Bruckner davvero da manuale e un successo nettissimo dell’intera orchestra e del direttore, lungamente festeggiati dal pubblico a fine serata (e fa piacere constatare che i molti giovanissimi si sono per lo più fermati, avremmo giurato – errando – su un fuggi fuggi generale, dunque doppio en plein per gli organizzatori dell’OSNRai). Netopil del capolavoro bruckneriano ha dato una lettura analitica e precisissima, ponendone in evidenza le molte preziosità timbriche, dalla rarefazione iniziale alle insistite, baluginanti fanfare ‘pseudo wagneriane’ che emergono già nel primo tempo per poi riaffermarsi nel Finale. Un’opera gigantesca e monumentale, la Quinta, della quale Netopil ha perfettamente messo a punto la chiara struttura formale ciclica (con i molti e consapevoli ritorni tematici nel Finale), potendo contare su un’orchestra in gran spolvero: oggi – lo ribadiamo ancora una volta – assieme a Filarmonica della Scala, Santa Cecilia e Maggio Musicale, tra le massime compagini italiane, con le sue validissime prime parti, e nel contempo ben posizionata in una sempre improbabile graduatoria internazionale. Ottimi ottoni, la pasta brunita degli archi, l’incorporea bellezza dei pizzicati, le delicatezze dei legni. Tempi giusti, corretta messa in evidenza degli echi liturgici nei passi in guisa di corale, ma anche l’incedere vigoroso dove occorre, e poi, soprattutto, la polifonia emersa al meglio nel vasto e risolutivo Finale, il carattere dello Scherzo perfettamente focalizzato e grande bellezza di sonorità nell’Adagio centrale colmo di delizie melodiche e traboccante di bellezza. Insomma, tutto davvero a posto e una festa per le orecchie e per il cervello, per quanti ritengono che l’ascolto musicale non sia solo qualcosa di epidermico, bensì un viaggio entro la storia (con tutto il gioco dei rimandi da Beethoven a Wagner) e l’esplorazione di una struttura. Una vera lezione sulla forma, quella di Netopil, e la gratitudine dei torinesi, specie dei bruckneriani doc, che non riascoltavano dal vivo in Rai questa superba Sinfonia dall’immane impianto architettonico dal 2003, quando la diresse il compianto De Burgos.
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