Il pianista si è esibito a Milano ottenendo grande successo di pubblico. Una lettura molto suggestiva che ha privilegiato l’aspetto melodico rispetto a quello analitico-strutturale. In programma anche una scelta dai preludi di Szymanowski
di Luca Chierici
QUANDO UN ARTISTA SI TROVA ad occupare un posto sempre più alto nella classifica di coloro che si presentano attualmente davanti alle platee di tutto il mondo, le aspettative da parte del pubblico tendono a crescere sempre di più: si dà per scontato insomma che il nostro eroe (in questo caso il fantastico Krystian Zimerman) non solo mantenga ad ogni nuovo appuntamento i livelli di assoluta eccellenza dimostrati in passato, ma che li estenda in modo tale da soddisfare qualsiasi nuova scelta di repertorio. Questa più o meno era la disposizione d’animo di coloro che seguono il pianista polacco fin dagli esordi – si tratta oramai di più di quarant’anni di carriera – e che si ponevano all’ascolto di un programma dedicato a due tra le ultime tre sonate di Schubert.
A Milano, tra Scala e Quartetto, aveva già suonato tra il 1986 e il 1996 entrambe le serie di Improvvisi e la stessa Sonata in la maggiore
Già, due su tre, il che poteva farci pensare a una scelta antologica e non programmatica e a ricordarci come pianisti molto attenti agli aspetti formali – leggi Pollini – avessero in passato proposto volentieri il trittico in concerto, una scelta piuttosto pesante, onerosa che tutto sommato può essere evitata senza rischiare di spezzare il pur esistente filo conduttore dei tre numeri, dei quali l’elemento mancante era qui la Sonata in do minore D 958. La prima impressione conta davvero molto, e se dovessimo seguire la cronaca degli eventi parleremmo, per il concerto di sabato scorso per la Società del Quartetto, di un evidente sbilanciamento tra l’interpretazione della Sonata in la maggiore e quella della D 960 in si bemolle.
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Nel primo caso Zimerman non si è fatto carico della raffinatissima architettura formale della sonata, che oramai è stata studiata in lungo e in largo dai musicologi, prediligendo un pur bellissimo approccio poetico che ha evidentemente penalizzato il primo movimento, e in particolare l’affrettata e poco gradevole esposizione del “terzo tema” nello sviluppo, a favore del carattere più cantabile e pianistico degli altri tre movimenti. Nel caso della D 960 i conti – ossia il rapporto tra esecuzione e attesa del pubblico – tornavano quasi del tutto e il rapporto avrebbe superato l’unità se Zimerman non si fosse inopinatamente lasciato troppo andare all’estro improvvisatorio nelle ultime misure del finale, dove è accaduto un piccolo incidente imprevedibile.
In entrambi i casi si poteva ammirare il “solito” dominio della tastiera da parte di Zimerman, che diventava ancora più evidente in alcuni passaggi notoriamente proibitivi dello sviluppo nel primo movimento della Sonata in si bemolle, o nell’ultima pagina di quella in la maggiore. Nuova e davvero suggestiva era poi la resa della nota introduttiva del finale della D 960, quel sol che modula inaspettatamente in do minore e che diventa quasi un elemento tematico germinale di tutto il quarto movimento. Qui il pianista ha utilizzato un effetto d’eco ottenibile attraverso il rilascio immediato e la nuova pressione del pedale di risonanza, effetto non scritto esplicitamente dall’autore ma di ingegnosa realizzazione. Il concerto, tra gli applausi convinti di tutto il pubblico numerosissimo, si è concluso con la proposta di alcuni Preludi di Szymanowski, autore particolarmente caro a Zimerman e da lui inserito talvolta nei programmi dei concerti. Vorremmo ascoltare da lui, a questo proposito, la Seconda sonata del musicista polacco, un testo che egli saprebbe sicuramente portare all’incandescenza così come faceva nel caso delle Variazioni op.10.
Nel momento in cui concludiamo queste note ci accorgiamo che Zimerman non era nuovo a proposte schubertiane, e che a Milano, tra Scala e Quartetto, egli aveva già suonato tra il 1986 e il 1996 entrambe le serie di Improvvisi e la stessa Sonata in la maggiore. Anche in quelle occasioni si era notato come in lui fosse stato più facile fare risaltare il lato melodico di queste pagine piuttosto che quello analitico-strutturale. Purtroppo Schubert è questo e molto altro.
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