di Luca Chierici foto © Vico Chamla
Nonostante la presenza di qualche sciocco hater su internet (e su Facebook) che a volte lo prende di mira, András Schiff si conferma sempre di più come l’erede di una tradizione espressiva di area mitteleuropea che fa capo ai nomi mitici di Backhaus, Kempff, Serkin, soprattutto quando si presenta con un impaginato complesso e affascinante come è stato quello presentato alla Società del Quartetto di Milano. Abbandonate per un momento le “integrali” beethoveniane o schubertiane, che hanno a volte il sapore di una conferenza-concerto con tutti i pro e i contro del caso, Schiff ha presentato un programma di lunghezza notevole (e di notevole impegno psicofisico) imperniato sui nomi fondamentali della storia della musica germanica, attraverso un percorso che partiva da Mendelssohn e, attraverso Beethoven e Brahms, faceva ritorno al barocco della sesta Suite Inglese di Bach. Un percorso affascinante anche dal punto di vista tonale, che gravitava nella prima parte sul fa# maggiore-minore della Fantasia op. 28 di Mendelssohn, della Sonata op. 78 di Beethoven e dell’incipit dei Klavierstücke op. 76 per approdare poi al re minore che apre le Fantasien op. 116 dello stesso Brahms e la suite bachiana. Dal re minore Schiff ha poi viaggiato logicamente verso il fa maggiore del Concerto Italiano offerto come bis.
Il pianismo di Schiff non concede oggi nulla alla ricerca di atmosfere che non siano immanenti ai testi eseguiti, si è ulteriormente scarnificato dando il giusto peso allo staccato, alle frasi disegnate con un uso molto parco del pedale, scava nel profondo di un fraseggio sempre convincente che sembra scaturire di fatto dall’accurata lettura del testo. Momenti straordinari di invenzione strumentale ed espressiva si sono ascoltati nel piccante contrappunto della Fantasia di Mendelssohn, già pensata come Sonate Ecossaise, ed eseguita dall’autore in presenza di Goethe a Weimar. Il “Presto” virtuosistico che conclude la Fantasia contiene appunto alcune bellissime modulazioni e dissonanze tipicamente mendelssohniane e porta il discorso verso un precipitato moto perpetuo che si conclude bruscamente sugli accordi di dominante e tonica. Schiff ha poi ripreso l’affettuosa sonata dedicata da Beethoven a Therese von Brunswick e si è immerso nel commovente quaderno di ricordi del Brahms più irresistibile: soprattutto nel finale del ciclo dell’opera 76 il pianista ha evidenziato da par suo la straordinaria inventiva pianistica del grande compositore. Ma anche nelle più tarde Fantasien si sono ascoltate cose memorabili, pur con la tendenza a smussare gli impeti più evidenti, le passioni laceranti che traspaiono in alcuni numeri, interpretati da altri colleghi con maggior vigore e senso del dramma. Del Bach di András Schiff si è già detto tutto il possibile e non è un caso che il pianista abbia voluto appunto concludere in suo nome il lungo recital, uno dei raggiungimenti migliori di un’arte coltivata con spirito di sacrificio, studio senza soste, fiducia profonda nel valore del messaggio musicale.