Programma riadattato per emergenza sanitaria: i concerti di canto doppiano le opere, ma al Teatro Rossini va in scena La cambiale di matrimonio e in Piazza del Popolo si esegue anche la Petite messe solennelle
di Francesco Lora foto © Studio Amati Bacciardi
Moïse et Pharaon, Elisabetta regina d’Inghilterra e lo Stabat mater sono stati rinviati al 2021, quando si affiancheranno a un Signor Bruschino; snellito a norma di emergenza sanitaria e quasi tutto trasferito all’aperto, nella Piazza del Popolo di Pesaro, il Rossini Opera Festival 2020 sta però avendo corso regolare: 8-19 agosto. Ciò che è rimasto del cartellone originale è stato riadattato, mentre i concerti di canto con orchestra doppiano le opere: La cambiale di matrimonio va sì in scena al Teatro Rossini, ma con l’orchestra in platea e il pubblico ridotto a un quinto; Il viaggio a Reims con regìa di Emilio Sagi compie vent’anni ma si svincola dalle voci nuovissime dell’Accademia (posticipata); pochi fortunati – gli altri in streaming – possono assistere a raffinati concerti vocali da camera nel museo rossiniano; in piazza, oltre la cantata scenica per Carlo X, si ascoltano le voci di Olga Peretyatko, Nicola Alaimo, Jessica Pratt, Juan Diego Flórez, Alfonso Antoniozzi, Paolo Bordogna, Alessandro Corbelli e Karine Deshayes, con la direzione dei talentuosi Nikolas Nägele, Alessandro Bonato e Michele Spotti. Prima dell’inaugurazione ufficiale con la farsa veneziana – che è anche la prima opera scientemente composta da Gioachino: Demetrio e Polibio nacque con musiche commissionate alla spicciolata – c’è nondimeno stato un più riservato 6 agosto di anteprime.
Pomeriggio al Teatro Rossini, per la prova generale della Cambiale di matrimonio ufficialmente aperta ai giornalisti. Molti tenori in locandina: non solo il simpatico Davide Giusti che tiene il ruolo del mezzocarattere Edoardo Milfort – qualità non da virtuoso rossiniano, che però la parte nemmeno richiede – ma anche il fu cantante Laurence Dale, qui regista, e il tuttora cantante Dmitry Korchak, qui concertatore. Lo spettacolo di Dale, con scene e costumi di Gary McCann, è un incanto di ri-ambientazione in epoca vittoriana: vanta un impianto scenografico maestoso e di lusso, a dispetto degli ottanta minuti di operina e a sollievo dei depressi per frugalità pandemica; non si picca di ribaltare la drammaturgia originale ma si impegna piuttosto a far recitare con cura e vivacità la compagnia di canto; si concede la spassosa licenza di un civilissimo orso baribal venuto ad accompagnare in Inghilterra, dal Canada, il buon antagonista Slook. Esperimento riuscito per il tenore-regista. Più pallido pare, invece, il lavoro direttoriale di Korchak, alla testa dell’Orchestra sinfonica “Gioachino Rossini”: tutto è improntato all’onesto possesso del mestiere e dunque a un’indiscutibile correttezza; manca però una linea interpretativa subito identificabile e vivida, necessaria a una partitura ancora senza la brillantezza delle sorelle.
Non si può nemmeno dire di trovare, nella direzione del tenore russo, complice sostegno ai colleghi cantanti. Cantanti che però sono validi in sé per estrazione e qui per autonomia. Per gesto, smalto e accento si impone il borbottante Sir Tobia Mill di Carlo Lepore, al solito capace di instillare anche in ruolo di buffo caricato quel tratto di bisbetico, sornione, geniale che dà luogo a un carattere autentico anziché a una macchietta; e con quale inconfondibile dovizia di mezzi canori! L’esordiente Giuliana Gianfaldoni aveva stupefatto nel Viaggio a Reims dell’anno scorso, come Corinna, e in luglio avrebbe dovuto essere a Martina Franca come primadonna larmoyante in un’operona buffa para-rossiniana di Mercadante; giro di valzer per epidemia, ed eccola invece di nuovo a Pesaro, come Fannì di squisita forbitezza canora e tagliente attitudine umorale. Inedito lo Slook di Iurii Samoilov, baritono ucraino dalla non sgradevole patina fonetica – soprattutto qui, dove sostiene il ruolo dello straniero – e sciolto dalla tradizione per via di un canto e di una presenza entrambi giovanili, baldanzosi, ormonalmente traspiranti e insomma utili a illustrare l’uomo rifiutato da Fannì non per cisposità di lui, ma per rigore morale di lei. Bene i comprimari: Pablo Gálvez come Norton e Martiniana Antonie come Clarina.
Fa bizzarro dittico con questa Cambiale di matrimonio la cantata Giovanna d’Arco, nell’ancor più fuori luogo elaborazione per orchestra di Salvatore Sciarrino: indisposto il mezzosoprano Marianna Pizzolato, all’anteprima non ha potuto essere eseguita. Si va allora, la sera, ad ascoltare in Piazza del Popolo la Petite messe solennelle, amplificata artificialmente e con intorno i rumori della città: il minore dei mali, tanto più che la ragione del concerto è ricordare le vittime dell’epidemia e onorare il personale medico-ospedaliero. Inutile nasconderlo: la messa da camera rossiniana soffre di agorafobia. Eppure non sfuggono la pulita concertazione e la solerte direzione di Alessandro Bonato, né il rustico impegno del Coro del Teatro della Fortuna di Fano (imprecisioni sì, ma innati colori), né la coscienza stilistica di Giulio Zappa, Ludovico Bramanti e Luca Scandali, rispettivamente al primo e secondo pianoforte e all’harmonium, né infine il pregio sia individuale sia complessivo dei cantanti solisti, alle prese con inabituali microfoni che sono più d’ostacolo che d’aiuto: soprano era la squillante, assertiva, incisiva Mariangela Sicilia; contralto la cordiale, morbida, semplice Cecilia Molinari; tenore Manuel Amati, con una faringite a mettere la nuvola davanti a un timbro pur sempre raggiante; basso Mirco Palazzi, smaltato, dolente, ieratico.