di Attilio Piovano
È la suggestiva ‘location’ di Piazza San Carlo, il ‘salotto buono’ di Torino dalle barocche e coreografiche quinte architettoniche dovute a Carlo di Castellamonte, ad accogliere la beethoveniana Nona, nel 200° della sua première: la sera di venerdì 6 settembre, per la serata inaugurale del Festival MiTo 2024. E allora ecco che trovarsi immersi nella piazza assieme a migliaia di cittadini per assistere all’evento, occorre ammetterlo, fa sempre un certo effetto e dona molte emozioni.
Pubblico eterogeneo e compostissimo: nel parterre delle prime file appassionati e visi noti, ovvero comuni aficionados delle normali stagioni cittadine, ma anche molte famiglie, tanti i giovani, i bambini, insomma prevedibilmente non pochi i neofiti, per i quali la Nona può costituire un singolare viatico per ‘aprirsi’ al mondo della classica. E dunque, ancora una volta, lodevole la scelta di proporre siffatto capolavoro facendo sì che ne possa fruire un numero insolitamente alto di spettatori, ben al di là della capienza delle normali sale da concerto: un modo per trasmettere valori culturali e, possiamo ben dirlo, filantropici (si pensi agli assunti kantiani del celeberrimo Inno alla Gioia) e altresì per invogliare qualcuno – chissà – ad abbonarsi alle succulente e variegate stagioni che a Torino si susseguono nel corso dell’anno; o anche solo a sentirsi incuriosito ad affacciarsi sull’universo della classica, che talora può (erroneamente) intimorire, abbattendo insomma quel muro invisibile di reverenziale ‘distacco’ che in taluni può costituire l’ascolto di una pagina classica.
Detto questo, se a proporre la Nona c’è una formazione del livello dell’Orchestra del Regio di Torino, ad affiancarla ci sono il Coro dell’ente lirico stesso ed il Coro di Voci bianche istruiti da due professionisti quali Ulisse Trabacchin e Claudio Fenoglio, se sul podio sale un giovane talentuoso come Michele Spotti, il successo è garantito. E allora ecco che la musica fluisce con morbidezza fin dalle epocali quinte vuote dell’esordio, grazie anche ad una amplificazione di ottimo livello: a smentire chi vorrebbe che i concerti si tenessero solamente al chiuso e cita (a vanvera) il sommo Toscanini che, con una boutade, ebbe a dire come all’aperto si giochi alle bocce: dimenticando come all’epoca l’amplificazione non esistesse, mentre oggi ci si può avvalere di sofisticati e validissimi mezzi tecnologici. Certo, come accaduto a Torino, occorre che l’amplificazione sia comme il faut (non da concerto rock, dunque). Da elogiare altresì l’ottima regia video che ha consentito, grazie ai due maxi schermi e ad una perfetta ‘sincronizzazione’ con le riprese, di seguire al meglio e di apprezzare direttore, strumentisti e solisti.
Spotti dirige con esuberanza e compostezza, al tempo stesso, ben assecondato dalla compagine torinese. Avremmo desiderato, forse, qualche apice di vibrante dinamismo già nell’Allegro e un pizzico di verve in più nello Scherzo innervato di ritmo e di brio, nonché punteggiato dal pulsare del timpano, ma il Trio è parso stilisticamente appropriato e ben focalizzato. Ed è sul finire dello Scherzo che alcune goccioline hanno iniziato a tamburellare le spalle e le teste degli spettatori. Nessuno ci voleva credere e molti, scrutando il cielo per nulla minaccioso, hanno pensato a qualche uccellino birbone, insonne e… incontinente. Ma poi le gocce si sono intensificate, nel bel mezzo del sublime Adagio traboccante di effluvi e costellato di carezzevoli idee melodiche, movimento che Spotti ha centellinato ad arte, senza quegli eccessivi indugi che talora lo fanno risultare prolisso. Pochissimi (pessimisti) si sono rifugiati sotto i portici, si è assistito al rito dello schiudersi di numerosi ombrelli recati da casa dai più previdenti, ma poi – magicamente – l’impalpabile pioggerellina settembrina è svaporata in un amen lasciando spazio all’inarrivabile bellezza del celeberrimo Finale. Nulla di scandaloso per gli applausi tra un movimento e l’altro che, anzi, a parere di chi scrive, sono il segnale dell’entusiasmo autentico, sincero e partecipe dei neofiti che (per fortuna) non conoscono le ‘regole’ un po’ obsolete e ingessate della sala da concerto.
Desta invece sempre un filo di amarezza sentire scoppiare qualche applauso (pochi a dire il vero) nel punto sublime in cui i soprani sono bloccati su un la acuto, vi è una superba e inattesa modulazione al fa maggiore e il tema dell’Inno viene convertito in una marcia turchesca; è un punto dove l’applauso denota, ci sia permesso dirlo, la totale mancanza della conoscenza delle più basilari regole della sintassi musicale da parte dell’italiano medio: un punto in cui chiunque abbia un minimo, ma davvero minimo, di dimestichezza con una pagina sinfonica non può pensare che sia tutto finito. Come se il pubblico applaudisse un attore che declami i versi danteschi, per dire:s «Nel mezzo del cammin di nostra vita…» dopo tale ultima parola. Bon, chiediamo venia per questa digressione dettata non certo da snobismo elitario, ma dal lieve sconforto per le ragioni di cui sopra.
Festa grande, a fine serata, applausi convinti per tutti, compresi i validi quattro solisti – Salome Jicia, Teresa Iervolino, Omar Mancini e Adolfo Corrado – talora un poco fuori asse rispetto a coro ed orchestra (ma si sa che all’aperto e nei grandi spazi certi dettagli possono rivelarsi problematici), e sopratttutto la gioia sincera del pubblico, nonché la consapevolezza palpabile da parte di molti di aver partecipato a un evento cittadino davvero di spicco. Ed è questo il valore incommensurabile di una proposta concertistica di tal fatta. Si aggiunga la perfetta ‘tenuta’ della macchina organizzativa (servizio d’ordine e via elencando).
Nuovamente la piazza gremita la sera seguente, sabato 7, sold out per la star Ludovico Einaudi e un altro grande successo di pubblico; come pure la sera di domenica 8 per il fuoriclasse Sollima, attorniato dall’ormai mitico ensemble dei 100cellos, entrato nella leggenda, mentre a Milano MiTo ‘inaugura’ a sua volta con Chailly e la Filarmonica scaligera nel segno di Berio, Rihm e Ravel.
E si prosegue, ancora una volta, con una full immersion entro le musiche e le formazioni più dissimili sino al 22 settembre. Ne scriveremo. Prossimamente. Stay tuned.