Concerti • La giovane pianista in concerto a Torino con OSN Rai diretta da Valčuha, che ha dato anche interpretazione del Mandarino meraviglioso di Bartók
di Attilio Piovano
DEBUTTO TORINESE CON L’ORCHESTRA SINFONICA NAZIONALE RAI giovedì 21 (con replica venerdì 22 febbraio) per la giovane e già super affermata pianista Gloria Campaner. Debutto alla grande: con il Secondo Concerto in do minore op. 18 di Rachmaninov, capolavoro di efficacia, vero e proprio evergreen amato dai pubblici di tutte le latitudini, emblematico fin dal memorabile attacco. E qui subito la Campaner si è conquistata le stellette e l’ammirazione di un pubblico folto ed emozionato per la forza poderosa dei bassi e un calibrato, incandescente crescendo dalla immane e corposa grandiosità. Juraj Valčuha dal podio non è stato da meno ed ha subito iniziato a spingere parecchio sull’acceleratore facendo prendere giri all’orchestra, col rischio, però, che talora gli equilibri fonici non fossero calibrati comme il faut. Ed anche dal punto di vista ritmico non tutto era in asse, probabilmente due modi diversi (quello di Valčuha e quello della Campaner) di intendere il Rach II, e allora ecco che alcuni piccoli scollamenti qua e là si sono verificati, con una delle due entità sonore (ora il gran coda pronto a ruggire potente, ora la vasta compagine) lievemente avanti sull’altro o viceversa. Detto questo la Campaner ha tecnica da vendere ed esuberanza sonora. Dove invece non convince è nei cantabili. L’aspettavamo al varco del secondo tema del primo tempo (effusivo, lirico e ‘cinematografico’); il suo approccio al tasto è sempre veloce, teso (in qualche caso addirittura duro ed un poco aggressivo: non a caso la Campaner sbaraglia ai concorsi in Prokof’ev che richiede dita d’acciaio e suoni percussivi), la stessa gestualità della Campaner (quella spalla che s’alza a scatto) tradisce una notevole tensione muscolare, conseguentemente il tocco risulta asprigno, anche dove occorrerebbe maggior dolcezza e timbratura per restituire al meglio la poesia melanconica e sublime di Rachmaninov. Che nel secondo movimento è mancata quasi del tutto. Gran virtuosismo, questo sì e finale trascinante, nonostante un minimo sbandamento in apertura (la sera del 22), subito contenuto. Finale effettistico e di sicuro appeal, un mulinare di mani che ha del prodigioso e innesca applausi vivaci. Molti consensi, gran festa e come bis ancora Rachmaninov, Morceau de fantaisie op. 3 n° 1 in mi bemolle minore, pagina giovanile, ancor molto chopiniana (è del 1892), con l’inizio in arpeggio, poi il culmine al centro, poi quel delicato recitativo e la chiusa estatica. E qui la Campaner ha saputo sfoderare bei suoni, intensità espressiva e soprattutto un senso della forma ammirevole.
Poi s’è avuta una delle più affascinanti prove dell’orchestra di questa stagione: Valčuha ha dato un’interpretazione straordinaria del bartókiano Mandarino meraviglioso, pagina superba che conserva tuttora la sua carica di modernità. Valčuha riesce perfino a stemperarne certi ristagni e qualche ridondanza, governando con mano salda e sicurezza assoluta e così pure puntando su una varietà incredibile di timbri (assecondato da un’orchestra in grande, grandissima forma), e allora un tripudio di timbri ora spettarli ed agghiaccianti, ora barbaramente virulenti, immani glissandi degli ottoni, sinistre staffilate di luce radente, archi tesi ed esasperati, come occorre, per questa pagina espressionista: ogni nota al suo posto, ogni singola frase il timbro appropriato. Applausi contenuti (il pubblico ancora oggi è restio dinanzi alla barbarica modernità dell’opera), ma apprezzamenti sinceri alle intere sezioni dell’orchestra numericamente assai vasta.
In apertura c’era stata la gradita sorpresa (prima esecuzione Rai a Torino, per quanto incredibile possa apparire) dell’Ouverture da concerto op. 12 di Szymanowski: lavoro datato 1905 di straordinaria freschezza inventiva, con quell’apertura che echeggia Vita d’Eroe, una ritmica variegata e di notevole motilità, specie se si tenga presente che si tratta pur sempre del lavoro di un giovane di soli 22 anni. Ovvio che la pagina oscilli tra echi mahleriani ed assonanze varie, pur tuttavia tacciarla di eclettismo («un calderone stilistico») fa torto all’intelligenza dell’autore. Che ha già netto il senso della forma, sa calibrare le zone assorte, pensose e certi drammatici turgori, pur con un linguaggio – per l’appunto – necessariamente tardo-romantico e non ancora personale. Ma questo non significa nulla: si tratta di una pagina di gran fascino timbrico, ideale per mostrare al meglio le potenzialità di un’orchestra. E Valčuha ha saputo lavorare ottimamente sui dettagli e sull’insieme, raggiungendo risultati di gran livello: avvalendosi di prime parti di qualità sopraffina ed una pasta orchestrale di raffinata caratura, mettendo in luce al meglio la lussureggiante veste timbrica e la sgargiante vis ritmica della pagina. Una festa per le orecchie (e per gli occhi) degli ascoltatori. Infine una nota positivissima: molti i giovani, moltissimi e parecchi forniti di partitura, in versione tradizionale, ed alcuni anche con tablet al seguito ed ecco allora in sala un baluginare discreto di piccoli schermi azzurrini, piacevole segno dei tempi e, più ancora, ottimo segnale: a riprova della validità delle strade intraprese su vari fronti dalla dirigenza dell’OSNRai per “catturare” fasce di ascoltatori sempre più ampie.
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