Beethoven e i contemporanei: Pappano dirige la Nona Sinfonia e la prima esecuzione di Bread, Water, and Salt di Luca Francesconi, su testi di Nelson Mandela: una riflessione in musica sul lento e sofferto cammino di liberazione dall’Apartheid
di Alexandros Maria Hatzikiriakos
L’ACCADEMIA NAZIONALE DI SANTA CECILIA apre quest’anno la Stagione 2015-16 con un breve ciclo dal titolo Beethoven e i contemporanei. Cinque serate, ideate dallo stesso Pappano, vere e proprie occasioni di dialogo e di incontro tra la musica del colosso viennese e i contemporanei. Questo secondo termine rimane però volutamente ambiguo e dai confini sfumati: accanto all’integrale delle sinfonie beethoveniane verranno infatti eseguite opere di autori del tempo di Beethoven, come Cherubini e Spontini, ma anche di oggi, tra cui Giovanni Sollima e Fabio Nieder. Ma la contemporaneità a cui si rivolgono maggiormente questi incontri è forse invece proprio la nostra. Così almeno suggerisce la scelta di aprire la serata inaugurale della stagione sinfonica, accostando non a caso la Nona Sinfonia ad una prima esecuzione di Bread, Water, and Salt di Luca Francesconi, su testi di Nelson Mandela.
Un comune desiderio di libertà, un richiamo alla fratellanza, pervadono entrambe le opere della serata
Mandela non fu mai poeta, né tantomeno autore di testi per musica, Francesconi ha perciò composto un collage di frammenti dai discorsi e dai diari di prigionia di Madiba, combinandoli in una seguenza drammatica estremamente efficace. All’inglese si alterna il Xhosa, la lingua madre di Mandela e dello stesso soprano Pumeza Matshikiza, sul cui ritmo e sonorità Francesconi ha costruito la sua composizione. La caratteristica più evidente di questo linguaggio è la presenza di numerosi “clic” consonantici, suoni prodotti facendo schioccare le lingua contro i denti o il palato, le cui potenzialità musicali vengono esplorate dal compositore anche grazie alle notevoli abilità tecniche di Matshikiza. Le parole di Mandela, spezzate tra il coro e la solista, narrano così il lento e sofferto cammino di liberazione dall’Apartheid e il suono stesso della lingua degli oppressi diventa il mezzo principale per raccontare la loro storia.
Un comune desiderio di libertà, un richiamo alla fratellanza, pervadono entrambe le opere della serata. Seppur diversa per forma compositiva e linguaggio musicale, Bread, Water and Salt, appositamente commissionata dall’Accademia per essere eseguita accanto alla Nona, dialoga col capolavoro beethoveniano, esaltandone proprio gli aspetti ancora oggi più vivi. Scelta più che mai attuale in questi mesi segnati dalla tragedia dei flussi migratori che pongono a dura prova i valori umanitari dell’Unione Europea, di cui l’ultima sinfonia del resto ne è anche il simbolo.
Brillanti e dirette, come di consueto, le scelte esecutive di Pappano, che riesce sempre a distinguersi con personalità anche davanti ai brani più celebri e frequentati del repertorio sinfonico. I tempi alquanto serrati nello Scherzo non hanno comportato alcuna perdita di profondità nei dettagli e nei chiaroscuri, né tantomeno alcun sacrificio dell’intimità espressiva del terzo movimento, peraltro sobria e lontana da qualsiasi enfasi zuccherina e di facile gusto. All’altezza sicuramente anche i cantanti, tra i quali ha brillato senza ombra un Michael Volle elegante, ben timbrato e sempre attento ad un’enunciazione attenta ed espressiva del recitativo. Più in cimento forse il talento della sua controparte tenorile, Stuart Skelton, raffinato interprete australiano, alle prese con una scrittura vocale spigolosa e difficile come quella beethoveniana. Qualche difficoltà anche nella voce del soprano americano Rachel Willis-Sørensen, talvolta leggermente scoperta nel registro acuto, seppur mai priva di corpo e colore. Piacevolemente soprendente, invece, nel suo piccolo spazio, Adriana di Paola, giovane mezzosoprano esordiente, che si è già potuta ammirare nella Poppea scaligera dello scorso febbraio.