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L’intervista • Stephen Plaice, navigato librettista inglese, è l’autore di un nuovo intrigante testo pensato per l’edizione 2013 del Glyndebourne Festival e basato su un fittizio gioco di ruolo online. La prima sarà diretta da Nicholas Collon
di Francesco Fusaro
[IL]Festival operistico di Glyndebourne ha sempre dimostrato negli anni una certa attenzione nei confronti della nuova produzione per il teatro. Non fa eccezione la programmazione pensata per l’edizione 2013, nella quale note pagine della letteratura operistica di tutti i tempi (Hyppolite et Aricie, Le nozze di Figaro, Don Pasquale, Falstaff, Ariadne auf Naxos, Billy Budd) si affiancheranno all’attesa “community opera” (così l’hanno definita gli stessi organizzatori) del compositore Orlando Gough, Imago. L’ambientazione, non nuova in altri ambiti artistici, farà sicuramente discutere i melomani di stretta osservanza: lo scenario scelto è infatti quello di un videogame che ricorda molto il tanto chiacchierato – ed ora perlopiù decaduto – Second Life. Stando a quanto rivelato sinora, infatti, Imago narra la storia dell’amicizia fra un’anziana donna e un ragazzino di 15 anni nata grazie ad un videogame online – l’Imago che presta il titolo all’opera – che permette ai giocatori di creare degli avatar, ovvero delle copie idealizzate di se stessi. Le scenografie sono frutto dell’ingegno di Es Devlin, reduce dal successo di Knight Crew del 2010 (musica di Julian Philips, testo di Nicky Singer). La regia invece è stata affidata a Susannah Waters, mentre il libretto è stato scritto da un nome noto del Festival di Glyndebourne, Stephen Plaice. Il drammaturgo inglese ha alle spalle una lunga esperienza nel campo teatrale che comprende attività con i carcerati (stupiamoci pure: esiste il ruolo di “‘writer-in-residence” non solo in teatro, ma anche in prigione), supervisione editoriale (il magazine The Printer’s Devil), produzioni per la radio (The Romantic Road per la BBC) e, naturalmente, la lunga collaborazione con Glyndebourne (da ricordare i libretti scritti per le opere di Harrison Birtwhistle The Io Passion, The Gleam e Angel Fighter). Incuriositi dal suo nuovo testo per Gough, abbiamo chiesto a Stephen Plaice qualche breve riflessione sul ruolo dei videogame e dei social network nella vita quotidiana e in teatro.
Potrebbe descrivere brevemente Imago e qual è stato il suo metodo di lavoro con il compositore Orlando Gough?
«Avevo già avuto modo di lavorare con Orlando e con la regista Susannah Waters in passato. Eravamo tutti e tre d’accordo su quale scenario utilizzare per questa nuova opera. Collocare il testo in ambito videoludico ci interessava perché tutti noi abbiamo bambini che navigano su Internet e allo stesso tempo abbiamo un’esperienza con familiari anziani giunti al termine della loro esistenza. Ho cominciato dunque a lavorare al libretto, passando per diverse versioni man mano che mi confrontavo con il team creativo finché non siamo giunti ad una versione che soddisfacesse tutti».
I videogame sono sempre più presi in considerazione da diverse discipline artistiche sia come fonte d’ispirazione, sia come linguaggio creativo in grado di definire uno scenario. Crede che si potrebbe fare anche il contrario, ovvero utilizzare i videogames per insegnare ai più giovani ad apprezzare altri campi artistici, come ad esempio lo stesso teatro d’opera?
«Questo non è un ragionamento che abbiamo preso in considerazione in Imago. Il “gioco” che abbiamo creato viene infatti usato da persone anziane come strumento terapeutico; un modo per rendere sopportabile le loro esistenze. Succede poi che alcuni ragazzi vi accedono. Non abbiamo voluto esprimere nessun giudizio sul modo i cui i videogiochi online modificano il nostro senso della realtà. La realtà virtuale, con le sue sfaccettate possibilità, fa parte della nostra realtà quotidiana: in questo senso non volevamo affermare che possa avere un valore educativo o distruttivo. Vogliamo lasciare al pubblico il compito di decidere se il gioco Imago sia qualcosa di favorevole per le vite dei personaggi, o meno».
Come crede che i videogame e i social network influenzeranno le relazioni umane nei prossimi anni? Crede che Internet possa essere la vera rivoluzione per quanto riguarda il comportamento umano?
«Personalmente credo che vi sia un pericolo di isolamento sociale dovuto ai videogiochi. Mano a mano che le mura domestiche si trasformano in una cella [lo scrittore usa qui il termine inglese cell che può essere anche tradotto con cellula, ndr] dotata di ogni divertimento individuale, l’interazione umana diventa sempre più difficile, se non addirittura meno soddisfacente. Ma ci fu chi disse lo stesso del cinema al principio del Ventesimo secolo. Il problema con questi divertimenti tecnologici di massa è che rendono le persone più facili da manipolare. In essi non vedo nessun approccio critico: ciò che muove l’utente è il desiderio di raggiungere un obiettivo attraverso un risultato pre-pianificato. In un certo senso, sospendono la realtà, poiché l’esperienza reale e l’osservazione diretta sono evitate proprio attraverso il gioco. Laddove, guardando le cose da un punto di vista positivo, i social network possono essere invece degli strumenti rivoluzionari, poiché permettono agli individui privi di potere di scambiarsi informazioni e idee contrastanti rispetto a quelle veicolate dai media tradizionali, maggiormente controllati. Basta pensare a quanto successo in tal senso con la Primavera Araba».
Nell’epoca dell’informazione digitale nella quale viviamo, che ruolo può svolgere l’arte in generale, e il teatro d’opera in particolare, in una società?
«Dire la verità contro gli interessi particolari del denaro, della politica e su preconcetti stili di vita».
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