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Lunedì 7 Novembre, ore 21. Teatro Carlo Felice, stagione GOG. Massimiliano Damerini, pianoforte
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Con un recital tutto lisztiano Massimiliano Damerini festeggia il 40° anno di attività concertistica al teatro Carlo Felice di Genova. In programma i tre Sonetti del Petrarca, le Parafrasi da Verdi -Don Carlo, Simon Boccanegra, Rigoletto- la Sonata in si minore.
Altro che il vantato rapporto di Pollini con la musica contemporanea, e lo scrive un “polliniano” convinto! Damerini è stato negli anni un pianista considerato di riferimento per intere generazioni di compositori, facendosi interprete in modo concreto dei nuovi linguaggi e del nuovo tempo culturale, collaborando con alcuni dei più grandi artisti del Novecento. Ma allo stesso tempo un interprete ben saldo alla classicità, con l’incisione, ad esempio, dell’integrale delle sonate di Schubert o il debutto con la London Philharmonic nel Concerto n.1 di Brahms al Barbican. Tra i compositori con i quali ha lavorato a stretto contatto citiamo Berio, Nono, Sciarrino, Donatoni, Gaslini, Bussotti, Kurtag, Hosokawa, De Pablo, Penderecki, Lachenmann; Damerini ricorda volentieri anche alcuni momenti della propria carriera quali la partecipazione al “Festival di Donaueschingen sotto la direzione del mitico Ernest Bour, il concerto diretto da Berio con la BBC Symphony, l’inaugurazione della Stagione Sinfonica 2001 al Colòn di Buenos Aires, alcuni recital che ricordo con estremo piacere alla Salle Gaveau di Parigi, così come ricordo volentieri il Concerto di Gershwin al Carlo Felice di Genova diretto da Oren, che fu l’unico esaurito due sere di seguito per un concerto sinfonico in teatro (circa 5000 presenze)”
E al Carlo Felice, in quella Genova nella quale hai iniziato gli studi, ritorni per questa ricorrenza. Com’é cambiata la realtà musicale della città in tutti questi anni?
Dal 1963 al 1969, anno della sua scomparsa, studiai pianoforte con Alfredo They, noto concertista genovese, tra i cui maestri figurava Busoni. Erano veramente altri tempi: They era consulente artistico al Teatro Carlo Felice (che era stato chiuso nel ’62, io avevo fatto in tempo a sentirci alcuni grandi come Rubinstein, e qualche opera). Allora la stagione del Carlo Felice si divideva tra Politeama Genovese (per i concerti) e Teatro Margherita (per le opere e i balletti), teatri entrambi pessimi per l’acustica. Tuttavia, grazie al mio maestro, ogni anno passavano da Genova alcuni tra i più grandi nomi del concertismo internazionale (ho sentito, oltre allo stesso Rubinstein più volte, Benedetti Michelangeli, Richter, Gilels, Casadesus, Cziffra, Kempff, Oistrakh, Francescatti, Ferras, Rostropovich, Kogan, e alcuni grandi che They portò per la prima volta a Genova: John Barbirolli, Brendel, Barenboim, Gelber, Tatiana Nikolaeva…). Oltre a tutto questo, They, che seguiva molto gli sviluppi della musica contemporanea, invitò spesso Bruno Maderna. La prima volta che suonai la celesta in orchestra come aggiunto, nel 1969, c’era proprio Bruno Maderna sul podio! Tra i ricordi più spettacolari ho in mente la prima esecuzione a Genova del monumentale Concerto di Busoni, eseguito da Pietro Scarpini. La seconda esecuzione, 34 anni dopo, spettò a me.
Ricordo le lotte tra noi studenti e il pubblico “tradizionale” in teatro all’esecuzione dei “Canti di vita e d’amore” di Nono, o a “Laborintus II” di Berio. Ma eravamo nel ’68, negli anni delle contestazioni, i fermenti erano enormi. Con la morte di They si tornò a una programmazione grigia e a un tran-tran routinier. Se gli abbonati avessero continuato a essere sollecitati in quel modo, una ventina d’anni dopo avremmo avuto un pubblico tipo Biennale di Venezia. Ora invece abbiamo un pubblico prevalentemente anziano, quasi peggio dei loro predecessori, che al massimo dei massimi arriva alla musica di 120, 130 anni fa. Accetta di malavoglia qualunque cosa sia stata scritta dopo.
Il tempo farà ovviamente giustizia delle partiture buone e cattive della nostra epoca, come l’ha fatta per i secoli precedenti (quanta brutta musica è stata composta nell’Ottocento! Noi conosciamo solo i capolavori). Tuttavia, prima di criticare sarebbe bene conoscere.
Oggi che abbiamo un teatro potenzialmente splendido e un’orchestra che avremmo voluto avere 40 anni fa (allora era molto mediocre, purtroppo, e l’acustica ci penalizzava ancora di più…) siamo in piena crisi, dovuta al fatto che come dappertutto in Italia si sono scialacquate le risorse finanziarie per compiacere registi, scenografi, primedonne, direttori artistici, ecc.
Speriamo in una rinascita!
Per il resto, Genova è sempre stata una città che non ha amato le innovazioni, ogni volta se ne è tirata indietro. Credo sia molto colpa del carattere schivo e refrattario dei genovesi, che a priori non vogliono seccature. Io mi considero “meticcio”, essendo di origine toscana da parte di padre (che peraltro era nato a San Paolo del Brasile, dove il nonno progettava ferrovie per l’Amazzonia). Forse è questa natura “avventurosa” e per certi versi sudamericana che mi ha salvato dal torpore genovese.
Qual è il tuo rapporto con Liszt e la sua poetica in relazione alla tua esperienza pianistica? Quali le pagine che hai suonato di più? Quale le prime composizioni che hai ascoltato da studente? Qual è l’eredità della visionaria musica di Liszt nel Novecento?
Liszt è senza dubbio uno dei compositori che ho amato e amo di più. Da ragazzo fui molto impressionato da alcune esecuzioni: la XII Rapsodia suonata da Rubinstein, ad esempio, ma soprattutto la Fantasia ungherese eseguita da Cziffra. Il virtuosismo lisztiano di Cziffra è ancora oggi irraggiungibile. Se ascoltiamo le Rapsodie Ungheresi o il Grand Galop chromatique o gli Studi trascendentali, non c’è nessuno oggi al mondo che possa stargli vicino, tanto meno qualche clown alla moda esageratamente sopravvalutato, che con le mani che funzionano benissimo scollegate però da cervello e gusto, non può nemmeno paragonarsi lontanamente a quel gigante della tastiera.
Il lato virtuosistico è sicuramente la prima cosa che mi ha colpito di Liszt. A mano a mano che crescevo, però, il gusto è cambiato, e al virtuosismo tout court ho preferito il Liszt meditativo e “moderno” degli Anni di pellegrinaggio, delle Armonie poetiche e religiose, dell’ultimo periodo. Ho sempre adorato la Sonata in si minore, l’ho da sempre in repertorio, e la considero uno dei capolavori della storia del pianoforte, e non solo del pianoforte. Ho poi scoperto il Liszt orchestrale, organistico e corale, molto meno familiare al grande pubblico, che mi ha aiutato moltissimo a entrare nel mondo straordinariamente variegato di questo autore. E, a parte il grado di parentela, sono fermamente convinto che, senza l’apporto di Liszt, Wagner non si sarebbe mai spinto così avanti. Basterebbe pensare a quanto del futuro Wagner c’è nella Sonata in si minore.
Un brano che invece non sopporto più è il Primo Mephisto Valzer, perchè strasuonato in tutti i concorsi. Difficilmente mi capita di ascoltarlo eseguito da qualcuno che abbia idee “teatrali” (il tema d’amore, Margherita, il lato diabolico del violino di Mefistofele, la sensualità del tema centrale…), proprio perchè il 99% dei pianisti si ferma al lato virtuosistico, facendone un esercizio di ginnastica. Tant’è vero che l’unica esecuzione per me straordinaria del Primo Mephisto Valzer è la versione per orchestra nel disco dell’Orchestre de Paris diretta dal grandissimo Georg Solti, secondo me inarrivabile: d’altronde Solti era anche uno straordinario pianista.
Liszt ha ispirato generazioni e generazioni di compositori, fino ai giorni nostri. Senza il pianismo di Liszt non ci sarebbe stato Ravel, nè Szymanowsky, nè tutta la grande scuola russa. Nemmeno l’idea di virtuosismo quasi “virtuale” di Sciarrino sarebbe stato ipotizzabile.
Simeone Pozzini
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