di Monika Prusak
Nato a Oława nel 1971, Paweł Mykietyn è uno dei compositori polacchi più conosciuti al mondo. Considerato il migliore compositore della sua generazione, un “personaggio-simbolo”, è autore di opere di teatro musicale, composizioni per organici strumentali e vocali, musica per il cinema e per il teatro di prosa.
Ha al suo attivo numerosi riconoscimenti e premi tra cui quello dell’International Music Council Unesco, il Prix France Musique Sacem o la recentissima Cannes Soundtrack Award per la colonna sonora di “EO”, un film del regista polacco Jerzy Skolimowski, che ha ottenuto anche il Premio della giuria della 75ma edizione del Festival.
La scorsa privamera, presso l’Aula Magna della Sapienza all’interno della Stagione concertistica della Iuc, il pubblico romano ha avuto l’occasione di partecipare alla prima esecuzione italiana della Passione secondo San Marco, organizzata in collaborazione con l’editore PWM Polskie Wydawnictwo Muzyczne e l’Istituto Polacco di Roma.
Vorrei iniziare dalla genesi della Passione secondo San Marco. Da dove è nata l’idea?
«A dire la verità, l’idea è nata dalla stessa musica. A quell’epoca mi occupavo dell’armonia microtonale e della ricerca sul tempo in musica e volevo scrivere un’opera che fosse una sorta di sommario di quelle mie ricerche. Avevo già composto qualche opera minore, quando ho pensato che sarebbe stato interessante verificare come la microtonalità potesse funzionare in una forma più estesa. La mia scelta è caduta su un oratorio, che aveva ovviamente bisogno di un testo letterario. Non sono una persona particolarmente credente, per cui dopo un momento di riflessione ho pensato che la vicenda di Gesù crocifisso potesse essere una “storia” interessante. La Passione è musicata in ebraico, perché sono affascinato dal fatto che il cristianesimo sia in un certo senso un ramo del giudaismo. L’azione del resto si svolge in un ambiente ebraico. La mia intenzione era quella di mostrare la vicenda della crocifissione spogliata di tutta la bimillenaria tradizione del cristianesimo. Volevo che ci immergessimo nel contesto di duemila anni fa, testimoni della storia, ma ignari che Gesù fosse il Messia – come nessuno ne era convinto all’epoca. Come se la storia fosse accaduta recentemente, con una donna che a sorpresa si proclama Messia. Sarebbe crocifissa anche lei, oggi? So che in Israele capita che qualcuno si proclami Messia. Dalla mia Passione non risulta se Gesù fosse Dio o meno, il tema rimane volutamente aperto».
Per quanto riguarda la scena musicale odierna trovo più intriganti quelle opere, in cui si fondono i confini tra diverse discipline artistiche, per esempio tra la musica e le arti visive. Penso che i nuovi media e le nuove tecnologie sono il futuro della musica
Il tema aperto vuole indicare una rottura con la simbologia teologica della Passione?
«Totalmente. Intendevo un racconto distaccato di una storia criminale».
La composizione gode di un organico molto interessante, un curioso connubio di diverse sonorità…
«Sì, nell’organico ci sono numerosi strumenti ad arco. La scelta è legata al fatto che la composizione è al 90% basata sulle sonorità microtonali. Uso effettivamente tre metodi di lavoro con i microtoni: un gruppo di accordi – una sorta di schema armonico, alcune scale modali e, infine, un frammento seriale di 24 toni. Il mio obiettivo principale era ottenere delle armonie dal carattere, in un certo senso, sensuale. Come compositore prediligo elementi matematici di ogni tipo, combinazioni e algoritmi. Ma l’armonia è un elemento in cui è difficile calcolare qualsiasi cosa: si può sentire e basta. Per fare le simulazioni avevo usato all’epoca un semplice sintetizzatore. Il problema era come far eseguire i microtoni, considerando che né gli strumenti sono destinati a suonarli, né i musicisti sono abituati a eseguirli. La maggior parte della partitura degli archi è costituita da armonici naturali, ma gli strumenti sono accordati in tre modi differenti: un gruppo è accordato in maniera tradizionale, uno è rialzato di un quarto di tono e un altro, invece, è abbassato di tre quarti di tono. Prima, quindi, avevo costruito uno schema armonico e successivamente ho iniziato una ricerca di come ottenere i suoni, che mi servivano con gli armonici naturali. In questo modo, ho evitato di mettere in difficoltà gli strumentisti. Prima di comporre la Passione, mi era capitato di scrivere simili composizioni per il clavicembalo. Due mie composizioni prevedono un’accordatura particolare delle due tastiere dello strumento in modo tale da avere un’intera scala di 24 toni all’interno di un’ottava».
Quali strumenti a fiato ha usato?
«In partitura abbiamo due sassofoni e una tuba. Questo organico, nonostante un numero elevato di archi, non ha ovviamente nulla a che fare con un’orchestra sinfonica. L’unico ottone è la tuba, mentre gli unici legni sono diversi sax suonati da due strumentisti. A dire il vero non ricordo il perché di questa scelta. Probabilmente volevo ottenere delle sonorità originali, ma di certo non avevo in mente un’orchestra intesa in modo convenzionale».
Ci sono anche due chitarre elettriche e delle sonorità più forti…
«Sì, la composizione prevede un gruppo rock nel terzo movimento al momento del dialogo tra Pilato e la folla e simboleggia proprio la folla stessa».
Per quel che riguarda le voci, invece, abbiamo degli ensemble vocali e dei solisti…
«Tutto il libretto procede a rovescio, qui mi sono ispirato al film Irreversibile di Gaspar Noé. Ho redatto il testo e successivamente l’ho tagliato in cinque parti invertendone l’ordine. Questo riguarda sia il testo che gli eventi sonori, perché ad esempio il terzo movimento finisce allo stesso modo in cui inizia il secondo, il finale del secondo riprende l’inizio del primo ecc. L’idea del ribaltamento mi ha accompagnato sin dall’inizio e in questo senso anche le due parti principali, quella di Gesù e quella di Giuda vengono eseguite da due donne. Accanto a loro abbiamo Pilato, un ruolo declamato, l’unico che recita nella lingua del luogo in cui viene rappresentata la Passione. A Roma abbiamo avuto, infatti, un Pilato italiano interpretato da Luca Di Prospero».
La scelta di due voci femminili non ha quindi un significato simbolico?
«Non saprei… per noi, persone con radici cristiane, Gesù e Dio sono la stessa cosa, non è così? Invece qui, parto dal presupposto che siamo a Gerusalemme o a Tel Aviv dove appare una donna e dice di essere il Messia. Non intendevo identificare Gesù come Gesù, la questione rimane aperta. Giuda, per esempio, inizialmente doveva essere un uomo, poi ho cambiato idea».
E se la parte di Giuda fosse interpretata da un controtenore? Che cosa cambierebbe?
«Ottima domanda. Ci avevo riflettuto sopra anche io: cosa succederebbe se la parte fosse eseguita da un controtenore. È difficile da dire, perché tutte le esecuzioni finora sono state affidate a Urszula Kryger. Possiamo dire, effettivamente, che Gesù fosse una donna? O è semplicemente una voce femminile che può essere ugualmente “servita” da un uomo? Accanto a questi personaggi abbiamo un coro misto e un coro di ragazzi e anche all’interno di questi cori abbiamo dei solisti».
Nella versione romana abbiamo ascoltato un coro di voci bianche al femminile al posto di un coro maschile come previsto dalla partitura originale.
«Ci sono stati problemi nel reperire un coro di ragazzi a Roma. A quanto pare ne esiste solo uno al Vaticano ed è totalmente inaccessibile. Ma le ragazze hanno affrontato la parte egregiamente!»
Le parti soliste del coro misto sono molto toccanti. Da dove proviene il testo che eseguono?
«Tutto il testo della Passione è preso dal Nuovo Testamento in ebraico. È davvero curioso che la prima traduzione del Nuovo Testamento in ebraico fu fatta solo nel XIX secolo da Franz Delitsch. Un frammento del terzo movimento è preso dal Libro di Isaia: è una parte sussurrata, che fa da sottofondo a Giuda e Pilato. Nel quarto movimento appaiono le parole di Pietro, quando rinnega Gesù: “Ti ho visto con quest’uomo”, “Non lo conosco”».
Invece per quel che riguarda le linee melodiche delle parti corali, qual è stata l’ispirazione?
«Alcune parti del coro dei ragazzi del secondo movimento ho preso in prestito da me stesso, dal primo spettacolo al quale ho collaborato con Krzysztof Warlikowski nel 1997. Si tratta di Elettra, messa in scena al Teatro Drammatico di Varsavia, i cui cori erano eseguiti da delle attrici. Ed è l’unica autocitazione, tutto il resto è originale. Il tutto è basato sui microtoni ed è chiaro che i cori non sono uno strumento che li esegue con facilità. Le voci cantano, infatti, usando quasi esclusivamente il temperamento equale, con una grande prevalenza della tonalità. I microtoni appaiono sporadicamente solo nella parte di Cristo, laddove non potevano mancare. Tutte le altre parti vocali sono “ridotte” alla tonalità nella sua eccezione tradizionale».
Non possiamo non nominare una voce femminile solista che proviene da un genere musicale piuttosto distante rispetto alla vocalità di Urszula Kryger, ovvero quella di Kasia Moś, che spazia da registri leggeri a momenti di una liricità inaspettata. Da dove nasce l’idea di unire una voce lirica a quella della popular music?
«Scrivo molta musica vocale, sia cosiddetta “colta”, sia per il teatro e per il cinema. Una voce lirica e una voce bianca sono due strumenti totalmente diversi, un po’ come se paragonassimo una chitarra classica con quella elettrica: il timbro è differente. Inizialmente la parte di Giuda doveva essere eseguita da un musicista rock, un idolo della mia giovinezza, che a un certo punto ha rinunciato. Quindi ho cercato una soluzione riflettendo sul fatto che Giuda è a tutti gli effetti il male personificato, sinonimo del tradimento. Il male tenta, seduce, intriga. Ho pensato che una bella vocalist come Kasia Moś sarebbe stata un Giuda perfetto: il male deve essere elettrizzante per risultare attraente».
La parte di Giuda è molto interessante, perché i momenti pop e rock si alternano con delle note acute e un canto che vuole imitare una voce lirica…
«Tutto il quinto movimento rappresenta l’incontro di Gesù e Giuda all’oliveto. Le due voci hanno linee melodiche molto simili sin dall’inizio: quella di Kryger cantata con la voce lirica, quella di Moś con quella “bianca”. Le loro parti sono un po’ come il “verso” e il “reverso”…»
Ci sono anche diversi strumenti a percussione, nonché alcuni effetti sonori…
«I musicisti hanno usato un mio manoscritto, nel quale si trovano ancora tante idee iniziali. Non ci sono molte percussioni, nessuna marimba, né vibrafono o xilofono… ci sono prevalentemente gli strumenti ad altezza indefinita. C’è anche una batteria, che si muove sempre insieme alla sezione rock delle chitarre. Ci sono, infine, alcuni momenti, come, per esempio, la morte di Cristo sulla croce, in cui la voce della cantante protagonista scende con un glissando verso toni gravi quasi impercettibili. Questi toni si versano nell’effetto percussivo dei bicchieri, che uno degli strumentisti agita su un vassoio, per farci avvertire la terra che trema».
La prima esecuzione assoluta della Passione risale ad alcuni anni fa, ma come vede la musica di oggi e quale sarà o dovrebbe essere il futuro della musica?
«Sa, ho 50 anni e in fondo non è più una mia preoccupazione cosa ne sarà della musica in futuro. Non prevedo grandi rivoluzioni, né nella mia musica, né tantomeno in quella mondiale. È difficile prevedere con precisione cosa succederà in futuro. Suppongo che se dovessi iniziare a comporre oggi mi volgerei verso i nuovi media e l’interdisciplinarietà, comunque sempre in linea con la mia musica.
Quello che mi intrigava una volta era, appunto, l’armonia microtonale. Delle ricerche più recenti quella più interessante è legata al tempo e ai diversi interventi ad esso legati. Ho creato degli algoritmi, che permettono alcuni effetti temporali, come ad esempio “accelerando permanente”, quando un brano che dura, supponiamo, un’ora, accelera continuamente. Chiaramente un algoritmo non basta per comporlo, servono diversi altri interventi, per poter costruire questo accelerando.
Per quanto riguarda la scena musicale odierna trovo più intriganti quelle opere, in cui si fondono i confini tra diverse discipline artistiche, per esempio tra la musica e le arti visive. Penso che i nuovi media e le nuove tecnologie sono il futuro della musica, ma, per carità, potrei anche sbagliarmi. Credo che la musica, purtroppo, abbia perso quella dimensione metafisica, che aveva quando l’elettricità non era ancora così diffusa. Quando non c’erano la radio e la televisione, uno che andava a sentire suonare un violinista viveva un’esperienza profonda. Una persona che andava a vedere un’opera di Verdi o Wagner a teatro viveva sensazioni per noi oggi praticamente inimmaginabili. O un quartetto d’archi che suonava Mozart 200 o più anni fa, questo sì che doveva essere un’esperienza metafisica. Come vedere oggi un film di Spielberg in 5D, sentire musica dal vivo doveva essere un qualcosa di eccezionale. Oggi la musica intorno a noi è troppa. È famoso un esperimento, che Jeshua Bell ha effettuato, suonando Bach con un violino Stradivarius in una metro di New York: non guadagnò nemmeno un cent!
In questo senso è come se la musica avesse perso, a priori, il suo potere metafisico. Nel campo della musica “pura” è molto difficile trovare aspetti interessanti per il pubblico di oggi. Da compositori possiamo creare delle costruzioni intellettuali, ma se esse non trovano un riflesso nel pubblico, rimangono morte. Tanto si è già detto in musica; lo spazio per le nuove ricerche è davvero minimo. In questa ottica, il dissolversi dei confini tra elementi sonori, visivi o teatrali, l’uso del computer – non necessariamente per comporre musica elettronica –, sono aspetti a mio avviso indispensabili. Io stesso mi sono “difeso” a lungo dall’uso dei dispositivi elettronici, ma oggi non riesco nemmeno a immaginare un compositore che usa uno stile di scrittura ottocentesco, senza considerare le nuove soluzioni e opportunità».
Traduzione dal polacco di Monika Prusak
Si ringrazia l’Istituto Polacco di Roma per la collaborazione nell’organizzazione dell’intervista.