Pinchas Steinberg dirige Orchestra e Coro del Teatro Regio di Torino per l’inaugurazione della Stagione
di Attilio Piovano
Emozionante serata al Regio, sabato 12 novembre, per l’inaugurazione della stagione dei Concerti della Fondazione lirica. Sul podio, a guidare con mano salda, gesto energico ed icastico, Coro e Orchestra del Regio è salito Pinchas Steinberg, di casa sulle sponde del Po dove lo scorso anno diresse varie cose e, soprattutto, una memorabile «Butterfly». Che sarebbe stata una serata d’eccezione lo si è compreso fin dall’attacco della mendelssohniana Die erste Walpurgisnacht (La prima notte di Valpurga), stupenda ballata per soli coro e orchestra (op. 60) ispirata all’omonimo testo goethiano che a sua volta trae linfa da un’antica leggenda volta a riverberare l’evocazione di antichi riti pagani, con tanto di spiriti, sul monte Brocken nella regione montuosa dello Harz, la cui apparizione avverrebbe nella notte tra il 30 aprile ed il primo maggio, ovvero la notte di Santa Valpurga, per l’appunto. Pinchas Steinberg ha pigiato sull’acceleratore fin dalla suggestiva «Ouverture» che inaugura il lavoro, non immemore di certi passi della «Sinfonia ‘Scozzese’». L’imperversare della tempesta è risuonata davvero efficace. Steinberg pareva sferzare l’orchestra (davvero in gran forma dopo la ‘cura’ autunnale Noseda / ‘integrale’ delle «Sinfonie» di Beethoven) con staffilate energiche e perentorie. E tutta l’energia del mondo pagano dei Druidi pareva sprigionarsi in sala, evocando riti arcaici ed ancestrali forze della natura; ma la ballata – si sa – non priva di garbata ironia, irride anche il mondo cristiano, i germani camuffandosi da streghe impauriscono infatti le guardie cristiane e riescono nell’intento di metterle in fuga. Ottima la prova fornita dal coro (istruito da Claudio Fenoglio), in tutte le sue sezioni: coro che nella ballata ha una parte davvero di rilievo.
[twocol_one]
Steinberg – molto opportunamente – ha dato una lettura della ballata puntando sulla continuità di un’unica curva: e non a caso, dacché i nove numeri in cui si articola la partitura sono collocati l’uno in fila all’altro senza soluzione di continuità. E così neanche per un istante è venuta meno la tensione, il fuoco che divampa con incredibile e divorante crepitare, fin dall’esordio, e non solo nella scena in cui viene evocato il sacro fuoco vero e proprio che servirà al compimento del rito.
[/twocol_one]
[twocol_one_last]
E tutta l’energia del mondo pagano dei Druidi pareva sprigionarsi in sala, evocando riti arcaici ed ancestrali forze della natura
[/twocol_one_last]
La positiva ed euforizzante sensazione – per riprendere la metafora motoristica – era quella di trovarsi sempre prossimi alla zona rossa del contagiri, ma senza correre rischi, senza azzardi: Steinberg sa il fatto suo e infatti dove occorreva ha indugiato un poco, contrapponendo alle sonorità compatte e corpose dell’«Ouverture» tratti delicati, rarefatti. Ad esempio nel suggestivo passo corale «Verteilt euch, wacre Männer, hier» che rilancia tutta la leggerezza del «Sogno di una notte di mezza estate» e pare di rivedere Puck e le sue argentine interiezioni.
Alla serata hanno preso parte anche scelte voci soliste: il valido ed applaudito basso Lucas Harbour ed il baritono Tommi Hakala, il tenore Marcel Reijans ed il mezzosoprano Natascha Petrinsky dalla voce ben timbrata, rosso vestita, con tanto di strascico: sicché le signore ne hanno ammirata la mise, mentre il versante maschile del pubblico ne ha apprezzato lo charme e la presenza ‘scenica’, tutti l’hanno apprezzata sul piano vocale. Voci allineate tutte su un elevato standard qualitativo, con un quid in più (almeno ci è parso) quanto alle due voci gravi. Grandi emozioni nell’evocazione degli spiriti infernali (il coro n° 6 Kommt mit Zacken) con l’imperversare degli archi, il dardeggiare dell’ottavino e la gragnuola delle percussioni. Precisi e puntuali anche i passi fugati, emersi in tutta la loro ingegnosa tramatura grazie alla concertazione accurata di Steinberg. Da ultimo la celebrazione della luce e l’epilogo trionfale di questo capolavoro che si ascolta sempre con grande piacere, e forte coinvolgimento emotivo: soprattutto se si tratta di esecuzione di grande livello, come al Regio, l’altra sera, esecuzione salutata da applausi protratti e convinti.
Steinberg ha poi diretto la Seconda Sinfonia di Brahms. Anche in questo caso occorre sottolineare il certosino lavoro di concertazione che ha dato i suoi frutti: ad esempio nella seduzione melodica del celeberrimo ed effusivo secondo tema del primo tempo, cantabile come non mai e corposo. Stupendo l’Allegretto dal clima soavemente elegiaco (in assoluto uno dei movimenti più affascinante dell’intera produzione brahmsiana) bene anche il Finale che Steinberg ha giocato, furbescamente, su un esordio un poco opaco (peraltro la partitura recita ‘sotto voce’), per poi scatenare le forze della natura. Qualche perplessità solo per la curiosa ed inedita disposizione dei contrabbassi che anziché valorizzarli ha finito per penalizzarli, almeno in parte, ma forse ancora una volta è stata l’acustica della sala molliniana a tradirci, e può darsi benissimo che si trattasse di impressione del tutto soggettiva, condizionata dalla nostra postazione in sala; attendiamo energiche e convinte smentite da lettori/ascoltatori attenti dislocati in altra posizione.
© Riproduzione riservata