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Serata monograficamente consacrata a Brahms, quella di venerdì 2 dicembre (con replica sabato 3) a Torino, in occasione del sesto concerto di stagione per l’Orchestra Sinfonica Nazionale Rai
di Attilio Piovano
Sul podio Semyon Bychkov (ci riferiamo alla replica del 3) ha diretto la «Seconda Sinfonia», a Torino ascoltata di recente, diretta da Steinberg, con l’Orchestra del Regio (si veda la relativa recensione su questa stessa rivista). Qualcuno lamenta che una medesima pagina la si ascolti a breve, quasi imputando alle varie istituzioni scarsi raccordi e poca fantasia nella programmazione. A nostro avviso, al contrario, tali eventi consentono invece, beninteso a chi lo desideri, di mettere fuoco dettagli anche minimi, raffrontando idealmente (e proficuamente) visioni interpretative talora dissimili. Bychkov poteva contare su una compagine in gran forma, perfettamente oliata, reduce da una trionfale ed applaudita tournée in Germania. Lo si è compreso fin dall’attacco dell’Allegro non troppo che si è giovato di bei colori ambrati, specie quel secondo tema che – già lo sottolineavamo in occasione del concerto diretto da Steinberg – con la sua effusività soave e trattenuta, nel contempo, conta tra le più emozionanti idee di Brahms e pare ricollegarsi per certi versi al Brahms giovanile della «Serenata in re maggiore op. 11».
E che gioia l’emersione di quel tema secondario e pur singolarissimo articolato per quarte, che Mahler cita poi esplicitamente nella sua «Prima Sinfonia»
Bychkov tendeva a smussare e ad ammorbidire i contorni di tale «Sinfonia», per antonomasia serena, intimista, a tratti idillica (la ‘Pastorale’ di Brahms per dirla con un abusato, ma non gratuito epiteto che muove dalla genesi di tale pagina legata al Worthersee ed ai panorami verdeggianti della amata Carinzia); ovvero Bychkov puntava a circonfondere la partitura di colori affettuosamente suadenti, salvo conferire la giusta incisività al protratto passaggio contrappuntistico dal ‘colore’ vagamente arcaicizzante entro lo sviluppo. Passo che è risultato quanto mai chiaro, come una lezione di strumentazione e di forma, un saggio sul Brahms innamorato del passato (e come tale attento a far rivivere antiche forme, dalla Passacaglia in giù) ma al tempo stesso moderno, Brahms ‘the progressive’, per dirla col famoso saggio di Schönberg apparso nel primo centenario (1933). Apprezzata la limpidità dell’Adagio, poi il godimento del leggiadro Allegretto, con quel contrasto tra il clima elegiaco dell’esordio e lo scatto ritmico, nervoso ed eccitato, che ben presto si rende necessario, ma poi riasssorbito come per incanto nell’alveo di un clima dolce, rasserenante: il movimento che in assoluto regala sempre le maggiori emozioni, e così è stato grazie anche alla prova fornita dalle ottime prime part dell’OSN Rai.
Poi il Finale: passi felpati in apertura, ma subito Bychkov ha lanciato l’orchestra facendole prendere giri rapidamente. Orchestra che – se ci è concesso proseguire con la metafora motoristica – pareva uno di quei propulsori che hanno potenza da vendere, ma soprattutto una notevole coppia motrice fin dai bassi regimi, e la erogano in maniera progressiva regolare, senza scatti improvvisi, mai aggressivi. E che gioia l’emersione di quel tema secondario e pur singolarissimo articolato per quarte, che Mahler cita poi esplicitamente nella sua «Prima Sinfonia» (anch’essa in re maggiore) intessendovi la lunga introduzione del primo tempo su un pedale che pare infinito. Aspettavamo Bychkov al varco delle ultime misure, con quella fanfara di ottoni che altri sfruttano per farne una luminescente apoteosi (talora sfiorando il rischio di sonorità quasi sguaiate), ed abbiamo avuto la conferma di una grande ed equilibrata esecuzione, con la coda festosa sì, ma in perfetta e coerente sintonia con il clima di ‘discrezione’ estrema che caratterizza questa superba partitura.
Ammirabile il piglio energetico del Vivace conclusivo, di cui il direttore ha evidenziato sì i tratti capricciosi, vividi e vitalistici ma anche quei passi dalla scrittura più densa e compatta
Già nel segno di Brahms s’era aperta la serata, con il «Concerto in la minore per violino, violoncello e orchestra op. 102», interpreti di gran lusso Renaud e Gautier Capuçon dal singolare affiatamento: più ancora, intendono la partitura esattamente allo stesso modo, e allora ecco che l’unitarietà stilistica era palpabile fin dalle prime misure. Suono caldo e ben timbrato il violoncellista Gautier, nitido ed incisivo Renaud, ma in perfetta simbiosi, senza mai sovrastarsi l’un l’altro, merito loro, certo, ma altresì di Bychkov che ha curato nei dettagli la concertazione. A dir poco infallibile l’intesa ed a fuoco l’esprit colloquiale della pagina fin dal primo tempo dalla singolare socievolezza. Bychkov sapeva essere delicato ed ottenere sonorità cameristiche, ma anche innescare quelle impennate virili che occorrono, ben evidenziando quel mix di tenerezza e di cordialità viennese nonché di rude bonomia nordica che di Brahms – si sa – costituiscono la firma inconfondibile.
Ci è poi particolarmente piaciuto l’Andante di cui emergeva il tono intimista, quasi Biedermeier, non lontano dalla dolcezza leggermente venata di spleen delle ultime raccolte pianistiche, ovvero le sublimi opere 116, 117, 118 e 119. Ammirabile il piglio energetico del Vivace conclusivo, di cui il direttore ha evidenziato sì i tratti capricciosi, vividi e vitalistici, ma anche quei passi dalla scrittura più densa e compatta. Anche qui: ammirato il grande equilibrio che ha restituito alla pagina tutta la sua fragranza. Applausi protratti e convinti (come ben sanno coloro che hanno seguito la diretta radiofonica ovvero in streaming, o come constaterà chi vedrà in futuro la ripresa televisiva effettuata sabato sera). E così i due Capuçon non si sono fatti pregare ed hanno suonato, con gioioso entusiasmo la bella elaborazione della tastieristica «Passacaglia in sol minore» di Händel a cura di Halvorsen che spesso propongono quale bis (molti i video su Youtube), strappando ancora un sacco di applausi, con quella chiusa funambolica dai colori curiosamente prossimi a maniere tzigane: ascoltare per credere.
© Riproduzione riservata
Grazie al caro collega Attilio Piovano (conosciuto a Novara anni fa) per questa recensione che ci fa evocare anche da lontano il suono stesso dell’orchestra.
E grazie per questa sottolineatura su Brahms “il progressivo”, in un tempo come il nostro, nel quale mi pare si leggano, con più frequenza, giudizi un po’ affrettati sul presunto “classicismo” del compositore.