Alla guida dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai il direttore americano ha diretto negli scorsi giorni la «Settima» presso l’Auditorium Toscanini di Torino. Una sinfonia che si colloca tra la «drammaticità apocalittica della Sesta e l’aspirazione ultraterrena dell’Ottava»
di Attilio Piovano
P erfino i campanacci da gregge compaiono in organico – un organico vastissimo che richiede oltre 100 esecutori – e col loro colore velato, specialissimo, col loro richiamo di Naturlaut, di magico ed evocativo suono di natura, aggiungono un quid di mestamente nostalgico, arricchendo la partitura di un pigmento davvero unico: assieme ad altri non meno inconsueti effetti timbrici, tra i quali – per dire – gli archi suonati ‘col legno’, ovvero l’adozione dell’inconsueto flicorno tenore, la presenza addirittura di chitarra e mandolino, accanto ai relativamente più prevedibili tam tam, triangolo, tamburo basco, Glockenspiel, campana grave e via elencando. Questi ed altri dettagli – lo hanno certamente compreso i lettori attenti ed esperti musicofili – riguardano la Settima Sinfonia che Gustav Mahler compose tra il 1904 ed il 1905 (strumentandola nel corso del 1906), quindi dirigendola egli stesso per la prima volta a Praga il 19 settembre del 1908. A Torino, presso l’Auditorium ‘Toscanini’ di piazza Rossaro, la si è ascoltata giovedì 26 e, in replica, venerdì 27 aprile (con la consueta diretta radiofonica nell’ambito del programma Radio3 Suite), in una interpretazione di lusso dell’Orchestra Sinfonica Nazionale Rai (era il 19° concerto in abbonamento per la stagione 2011-2012): orchestra magistralmente diretta dallo statunitense James Conlon, attualmente direttore musicale della Los Angeles Opera, che con Mahler ha una vera e propria consuetudine essendone un assiduo frequentatore e profondo conoscitore (a trent’anni aveva già eseguito tutte le Sinfonie): insomma un vero e proprio specialista – lo rivela anche la sua discografia – per la seconda volta a Torino sul podio dell’OSNRai. E si è trattato di un concerto che idealmente completava l’integrale dell’opera mahleriana realizzata a Torino, nel corso del 2011, dunque in concomitanza con le celebrazioni per il centenario della morte del musicista, con il concorso delle principali istituzioni, la Rai, appunto, ma altresì l’Associazione Lingotto Musica e il festival MiTo.
Questa chitarra non è introdotta nella Settima sinfonia per realizzare un «effetto» isolato, ma tutto il tempo si basa su questa sonorità
“Mahler” – Arnold Schönberg, ed. SE
Partitura davvero impervia, quella della Settima, non a caso tuttora la meno popolare (ed eseguita) tra le opere del musicista boemo, Sinfonia che Conlon ha saputo dipanare con abilità e grande efficacia: rivelando profonda cultura e, soprattutto, una salda concezione interpretativa della pagina che, entro l’iter creativo mahleriano, si colloca in una posizione peculiare, incuneata tra la «drammaticità apocalittica della Sesta e l’aspirazione ultraterrena dell’Ottava». Sicché la lettura di Conlon è parsa illuminante per coerenza e profondità. Non ha infatti tentato di smussare, o di levigare, di attutire quel che di disomogeneo che caratterizza la Settima: semplicemente muovendo dal carattere frammentario e rapsodico che la contraddistingue, Conlon ne ha posto in luce il carattere composito e talora fin contraddittorio: conducendo per mano il pubblico attraverso questo vasto polittico pentapartito della durata complessiva – si sa – di oltre 80 minuti, a partire dal movimento d’esordio con quell’andamento di marcia perentoria, stralunata e funerea e per contro un tematismo «labile ed incerto» entro una veste timbrica di straordinaria modernità e singolare colore. Conlon ne ha dato una interpretazione analitica, coi fiati bene in vista (un plauso alle ottime prime parti) distesi sugli archi agglutinati, procedendo con speditezza e bei fraseggi sino alla chiusa del vasto primo tempo dai baluginanti clangori. E subito dopo, quante seduzioni timbriche nella prima Nachtmusik, rarefatta ed evocativa, coi due corni che si richiamano ad eco come Alpenhorn tra le conche dei monti, poi interpuntati dal suono remoto dei campanacci e dal tocco incorporeo degli archetti col legno cui più sopra si alludeva.
Anche qui: lettura chiara, analitica e puntuale, tutto molto equilibrato e calibrato al millimetro. E Conlon, gesto misurato, pacato e sobrio, ma efficace (infonde rassicurante pacatezza), sapeva di poter contare su una compagine in gran forma. Ha poi centellinato deliziosamente con affettuosa e partecipe tenerezza la seconda e fascinosa Nachtmusik, dall’allure cameristica, in cui compaiono le sonorità tenui di chitarra e mandolino, a segnarne il carattere di carezzevole serenata, quasi uno sguardo ai tepori dell’estate e del sud. Bene a fuoco anche lo Scherzo in posizione mediana, irto di asprezze, guizzi di archi, baluginare di legni ed ottoni ed emersioni delle percussioni, con quel suo appassionato ed effusivo Trio centrale: Scherzo del quale Conlon ha ben colto il carattere grottesco, sarcastico, spettrale, aforistico ed allucinato, a tratti fin demoniaco, evidenziandone quel non so che di sfilacciato, un certo andamento frammentario che di fatto è insito nel brano stesso (il tono rapsodico cui si accennava). E da ultimo la gioia (posticcia) e tutta esteriore, ma reale (?), del Rondò finale, con quelle sonorità festose, altisonanti: grandi volumi, ma senza mai cadere nell’effettistico o peggio nello sguaiato. Insomma una lettura di ammirevole saldezza (sotto tutti i punti di vista, compreso quello ritmico), salutata a fine serata (ci si riferisce alla replica del venerdì) da calorosi e protratti applausi.
© Riproduzione riservata
Ho apprezzato la recensione, anch’io ero presente allo stesso concerto di venerdì. Ho apprezzato questo riferimento indicato dal recensore, che mi piacerebbe fosse fatto sempre, per capire meglio il metro di giudizio adottato dai vari recensori.