
Italiana • Ultimo concerto della stagione 2012-13 della Filarmonica della Scala, per l’occasione diretta da Gianandrea Noseda. Solista Enrico Dindo nel Concerto per violoncello, nel segno del compositore al quale è stato dedicato anche un convegno
di Luca Chierici
PUÒ SEMBRARE STRANO, MA IL CONCERTO CHE ha avuto luogo l’altra sera alla Scala per la chiusura di stagione della Filarmonica, preceduto da un incontro specifico dedicato al ruolo di Alfredo Casella nella musica del Novecento, non è nato da una esigenza nostrana diretta a rivalutare un compositore ancora pochissimo eseguito. Come al solito l’Italia arriva ultima, scontando anche una avversione storica che portò nel secondo dopoguerra a sottovalutare tutte quelle figure della cosiddetta “generazione dell’80” che avevano vissuto volenti o nolenti un rapporto di convivenza-connivenza con il regime fascista. A maggior ragione un musicista la cui pretesa “italianità” è tutta da discutere ed è semmai relativa al periodo che parte dall’ottobre del 1916, quando Casella trentatreene si trasferisce a Roma. Un musicista che fino a quella data si firmava “Alfred” ed era ben contento di avere seguito i consigli di tutti coloro, da Martucci a Bazzini, che lo avevano spronato a studiare all’estero, nella fattispecie a Parigi, segno questo che il problema della fuga dei cervelli dal nostro paese è tutt’altro che recente. La parziale situazione di “embargo” nei confronti di Casella era destinata a protrarsi nel tempo. Anni fa Bruno Canino ci disse di essere stato costretto a interrompere un progetto di registrazione dell’integrale pianistica di Casella perché… non si trovavano più gli spartiti. E in effetti chi si interessa di queste (futili?) questioni sa bene che il reperimento di quelle edizioni è cosa non sempre facile. Gran parte dei lavori del primo periodo erano stati pubblicati in Francia, Inghilterra e Austria (anche la Rhapsodie Italia del 1911 !) e solamente con il ritorno di Casella in patria l’editore Ricordi inizierà con il musicista un rapporto di collaborazione stabile, anche se non esclusivo. Sta di fatto che solamente due tra i suoi lavori orchestrali più impegnativi, ossia le sinfonie, vennero regolarmente pubblicati, e non da Ricordi o da altro editore italiano: la Prima sinfonia op.5, del 1906 fu stampata a Parigi da Mathot; la Terza op.63, del 1940 a Vienna dalla Universal.
Ma veniamo al recupero della Seconda sinfonia, che era al centro del programma di Gianandrea Noseda e della Filarmonica. Il nostro bravissimo direttore ha dichiarato di avere scoperto dell’esistenza della sinfonia grazie all’interessamento della propria casa discografica, la Chandos, che notoriamente è inglese. L’interesse si è poi concretizzato e ha portato tre anni fa alla incisione del lavoro e alla esecuzione dal vivo. A Milano? A Torino? No, a Tokyo e a Francoforte. Fortunatamente per noi il concerto di Francoforte del primo Marzo di quest’anno era stato trasmesso (dalla radio tedesca, beninteso) mentre in precedenza avevamo ascoltato la terza sinfonia, diretta da Noseda a Manchester quattro mesi prima, grazie questa volta ai microfoni della BBC. Viva l’Italia!, verrebbe da esclamare.

L’ascolto della Seconda sinfonia alla Scala è stato ovviamente del massimo interesse, e ha rivelato un lavoro che conferma più che altro la straordinaria capacità assimilativa del suo autore, più che un ruolo di Casella come innovatore e creatore di un linguaggio personale. La prima esecuzione della Sinfonia a Parigi, il 23 aprile del 1910, a poca distanza da quella della Seconda sinfonia di Mahler diretta dall’autore non deve trarre in inganno: Casella conosceva molto bene i lavori di Mahler e di lì a poco pubblicherà una trascrizione per pianoforte a quattro mani della settima sinfonia, arrangiamento improbo, di difficilissima realizzazione. Ora, l’influsso mahleriano sulla Seconda sinfonia di Casella esiste certamente, soprattutto nel clima plumbeo dell’incipit e nel tema di marcia funebre del Finale, ma vi sono a mio parere ben altri motivi che ci portano a riconoscere la complessità dei valori che vanno a concorrere alla formazione di un linguaggio davvero composito. Innanzitutto il tardo romanticismo francese: la Seconda insiste dall’inizio alla fine sulla citazione di un famoso tema tratto dalla Sinfonia in re minore di César Franck. Poi è la volta di uno sviluppo del primo movimento che richiama i modi di un analogo luogo della Patetica di Čajkovskij, e ancora citazioni letterali dalla Walkiria, di nuovo i russi, da Borodin a Musorgski rendono anche divertente il gioco della individuazione dei prestiti. Noseda ha parlato di «metabolizzazione di diversi stili in termini personali secondo una comunicatività tutta italiana» e ha guidato l’orchestra a un risultato che ha sorpassato le più rosee aspettative, con un successo di pubblico straordinario. A un altro Casella, quello che scrive il Concerto per violoncello nel 1935 era stata dedicata la prima parte della serata, preceduta da un sempre piacevole Respighi. Qui il valoroso Enrico Dindo si è imposto attraverso una scelta che lo aveva visto protagonista già due anni fa a Torino con i complessi della RAI. Musica del tutto differente, quella del Concerto, che ribalta in un certo senso la collocazione di Casella, qui davvero anticipatore di risultati cui Šostakovič approderà a distanza di ben 25 anni.
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Cari amici, grazie innanzitutto della recensione. Vorrei comunque completare le osservazioni di Luca Chierici sulla scarsità di iniziative italiane per la riscoperta del nostro repertorio musicale del ‘900. Osservazioni sacrosante, ma che non devono far pensare a un assoluto deserto. Io posso parlare soprattutto della Filarmonica della Scala che, nata nel 1982, ha affrontato Respighi assai presto con Gavazzeni ma soprattutto ha sviluppato un percorso organico insieme a Riccardo Muti già negli anni ’90, portando nelle sale da concerto di tutto il mondo, dal Musikverein alla Suntory Hall, autori come Martucci, Busoni, Casella e – certo – soprattutto Respighi. Di queste esecuzioni è rimasta traccia discografica grazie a un progetto con Sony Classical che ci è stato di ispirazione per il nuovo ciclo di DVD ‘900 ITALIANO di cui la ripresa del concerto di domenica sera farà parte insieme al Respighi diretto da Georges Prêtre e al Respighi e Casella diretti l’anno scorso da Fabio Luisi (e portati in tournée alle Notti Bianche di San Pietroburgo, così come abbiamo intenzione di proporre alle sale internazionali la Seconda di Casella). D’altra parte Daniel Harding, sempre intelligente e curioso, nel 2011 ha voluto dirigere nella nostra stagione la suite da Ulisse di Dallapiccola dopo aver riportato il Prigioniero alla Scala. Indubbiamente troppo poco perché il materiale del ‘900 storico italiano da reintrodurre in repertorio è copioso, ma qualche proposta abbiamo cercato di farla, e non da ieri, provando anche a incuriosire il pubblico con l’incontro nel Ridotto dei Palchi. Mi sembra che gli applausi finali fossero incoraggianti.
Paolo Besana
Responsabile comunicazione, Filarmonica della Scala
Ringraziamo Paolo Besana per il suo intervento e per le informazioni aggiuntive sull’attività della Filarmonica della Scala in relazione al repertorio della “generazione dell’Ottanta” e al Novecento storico italiano.