Escono in un’unico volume i tre articoli del Vate in difesa dell’amato compositore tedesco contro le dure opinioni di Friedrich Nietzsche
di Francesco Fusaro
SAREMO MICA IN ODORE DI D’ANNUNZIO RENAISSANCE? Se colleghiamo infatti i puntini culturali dell’ultimo periodo (spettacoli teatrali, saggi, articoli di giornale) potremmo ben pensare ad un ritorno del Vate in pompa magna, come lui avrebbe sicuramente gradito. «Ma guarda che non se n’è mai andato» direte voi. Non sono del tutto d’accordo, dico io: il nome di D’Annunzio è certo scolpito nel pantheon dei grandi letterati italiani ma quasi come dovere d’ufficio, come registrazione burocratica di una personalità così grande che ti ci scontri per forza. Scontri, appunto, non incontri. Letti davvero Il piacere, Il fuoco, Forse che sì forse che no? Se la risposta alla domanda è affermativa, purtroppo spesso lo sarà a causa di estivi obblighi scolastici. Ecco perché penso che un D’Annunzio possa tornare da dove lo si è lasciato, cioè dalle nebbie sonnolente dei banchi di scuola; e tornare giustamente in questo periodo di remissioni, recessioni, abdicazioni economiche e culturali. E quest’anno ricorrono i centocinquant’anni dalla nascita del poeta. Con la sua vita eccessiva, con la sua onnivora curiosità, con i suoi progetti artistici impossibili D’Annunzio appare quale monumento all’azione, alla creazione, all’edificazione.
E in questa scia si inserisce Il caso Wagner che la casa editrice Elliot fa uscire in questo importante anno wagneriano. Un libello di agile lettura che è la somma di tre articoli usciti su «La Tribuna» il 23 luglio, il 3 e il 9 agosto del 1893 nei quali il Vate prendeva le difese del compositore tedesco contro le opinioni del filosofo Nietzsche di cui lo stesso D’Annunzio era stato in certa misura promotore in Italia. Tutta la questione è ben spiegata dall’ottimo saggio di Paola Sorge, curatrice del volume ed autrice anche di una affascinante biografia (parzialmente romanzesca nella forma ma non nelle fonti) intitolata D’Annunzio. Vita di un superuomo (Castelvecchi 2013). Nietzsche, già amico di Wagner, attacca duramente il compositore accusandolo (stringo) di incarnare il perfetto esempio della decadenza morale ed intellettuale del suo tempo. Di fronte alla polemica, sempre sensibile ed attento all’hic et nunc, il poeta si trova dunque proverbialmente fra incudine e martello: da un lato il musicista di cui era artisticamente innamorato al punto da concepire quel Fuoco che altro non sarebbe se non l’audace tentativo di trasporre in parola le geniali intuizioni artistiche di Wagner (oltre al più volte vagheggiato e mai realizzato sogno di un teatro italiano ‘alla Bayreuth’); dall’altro il filosofo per il quale D’Annunzio aveva provato quella sincera fascinazione spesso però travisata da certi commentatori dannunziani sino a fare facilmente un tutt’uno fra le teorie sull’Übermensch nietzschiano e la vita del Vate. Fra i due giganti, secondo D’Annunzio, la spunta Wagner, e di diverse grandezze: «Riccardo Wagner […] ha rivelato a noi stessi la parte più occulta di nostra intima vita. Ciascuno di noi, come Tristano nell’udire l’antica melodia modulata dal pastore, deve alla virtù misteriosa della grande musica la rivelazione diretta di un’angoscia nella quale ha creduto di sorprendere l’essenza vera della sua propria anima e il segreto terribile del Destino». Possiamo chiudere serenamente questo 2013 wagneriano.
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Gabriele D’annunzio Il caso Wagner | Elliot Lampi | 2013, 63 p.
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