di Santi Calabrò
Un nuovo allestimento di Norma in scena al Teatro Vittorio Emanuele è fra le proposte del Bellini International Context 2023, un Festival che coinvolge alcune delle principali Istituzioni musicali siciliane.
Lo spettacolo, prodotto dall’Ente Autonomo Regionale Teatro di Messina e firmato dal regista Francesco Torrigiani, propone un’idea di ambientazione “regionale” non priva di suggestione mitica. Le scene di un’ispirata Francesca Cannavò sono infatti dominate da segni che rimpiazzano le tradizionali evocazioni celtiche o druidiche con chiari riferimenti al vulcano più grande d’Europa: pavimento nero, immagini di pietre laviche stilizzate, che a volte si accendono di bagliori dorati, e persino la luna, immancabile presenza nell’opera di Casta Diva, che diventa partecipe del contesto vulcanico. A ogni accenno guerresco la luna rosseggia, e raggiunge una inequivocabile magmaticità ribollente – quella delle eruzioni dell’Etna – nella scena del rogo finale che inghiotte i due protagonisti.
Le luci (Gianni Pollini è il Light designer) e i costumi di Lisa Rufini partecipano con eleganza e sontuosità a una visione di nitida bellezza, dove l’interazione tra scenografia e proiezioni è tanto efficace quanto di per sé spettacolare. Oltre ad arricchire il Festival, questa produzione avrebbe tutti i numeri per essere ripresa in futuro, anche se in prima battuta qualche particolare non è sembrato del tutto centrato. I costumi dei galli sono di un bel celeste scintillante, quelli dei romani contrappongono il riferimento a un mondo borghese: un mondo corrotto dalla “civiltà” contro una mitica età druidica dura e pura? Sia pure, nonostante un certo eccesso di sovrapposizione ideologica… Arrivare tuttavia al punto di impacciare l’abbigliamento di Pollione con un pallio ingombrante non solo amputa il proconsole di ogni connotazione militare – in verità predilige altri cimenti –, ma lo espone a un ulteriore pericolo, accanto a quello di un popolo che anela a scannarlo e a due amanti problematiche: un ruzzolone in scena, che anticiperebbe ingloriosamente la risoluzione eroica del fuoco conclusivo. Appare gratuita, poi, la parata di scarpe rosse esposte dalle coriste a commento della decisione di Norma che confessa e sollecita la punizione per sé stessa e per Pollione. L’allusione alla contemporaneità di per sé non è un problema, ci mancherebbe, ma il collegamento tra la tematica del femminicidio e la vicenda rappresentata in Norma è a dir poco labile.
Al netto di questi dettagli, grazie alle indicazioni di Torrigiani e alla bravura dei cantanti nella recitazione, il colpo d’occhio offerto dalla scena si somma a un’accurata definizione dei personaggi e dei loro tormenti; esibire e approfondire i pensieri e gli affanni dei protagonisti appare intento prevalente e condivisibile della regia. Anche qualche movimento scenico che può apparire insolito trova immediata rispondenza nel testo, evidentemente riletto con attenzione dal regista.
Giuseppe Ratti, alla guida dell’Orchestra del Teatro di Messina, è ugualmente ben sintonizzato al clima dell’opera. La sua conduzione di Norma presenta due caratteristiche chiaramente delineate: una costante flessibilità agogica, che individua i punti apicali delle frasi e li tornisce con rallentamenti ben calibrati, e un’attenzione altrettanto pervasiva alle linee secondarie, in particolare quelle affidate ai fiati, che Ratti preferisce far emergere piuttosto che fonderle in un amalgama armonico devoto alle ragioni della melodia. Il risultato è godibile e spesso anche originale.
Quanto al primo aspetto, non solo i cantanti sono naturalmente a loro agio con un’orchestra che non li incalza nei culmini, ma l’irrequietezza ben temperata dei tempi di Ratti, andando oltre i termini di un mestiere direttoriale capace di conciliare l’esigenza del ritmo con quella del belcanto, regala momenti di approfondimento della drammaturgìa. Volendo fare un esempio fra i più spiazzanti e tuttavia riusciti, va citata almeno la cabaletta «Ah! bello a me ritorna» alla fine della scena che include Casta Diva. Di solito nella cabaletta, dopo l’inevitabile picco di emozione della cavatina, un minimo e quasi fisiologico contrasto di tempi (quelli di Norma e quelli più spediti del Coro) non lascia spazio per apprezzare un dato che qui, invece, in ragione di un maggiore contrasto nell’andamento ritmico, emerge con evidenza: compiuto il rito, Norma ritorna in tutto e per tutto preda del suo rovello interiore e del contrasto insanabile con i sentimenti del padre Oroveso e della sua gente. È peraltro una caratteristica generale delle cabalette con più personaggi quella di esaltare la funzione formale di scioglimento e momentanea risoluzione (“per concludere”): sull’onda della frenesia ritmica e delle stesse note musicali gli effetti tendono a uniformare chi medita tremenda vendetta e chi coltiva idee meno bellicose. In questo caso l’utilizzo dei mezzi musicali, in osservanza a un testo che tiene il punto della contrastante disposizione dei personaggi, apre una possibilità interpretativa interessante.
Sotto l’aspetto della concertazione, l’evidenza plastica dei controcanti restituiti dall’orchestra e da Ratti (con qualche eccesso di sonorità e baldanza) rimanda allo stile di un’epoca, quella di Bellini, in cui non si era ancora affermata la timbrica omogenea dell’orchestra tardo-romantica. Ancora più importante, rispetto alle ragioni filologiche, il fatto che un maggior peso accordato alle linee interne rientri nei termini strutturali del lirismo belliniano e si annodi al suo significato musicale. Uno stile unico come quello di Bellini, infatti, si definisce nel rapporto della melodia non solo con le funzioni armoniche, ma anche con la linea del basso e con le altre parti orizzontali.
Convincenti le prove del cast vocale. Klara Kolonits è interprete capace di governare le diverse sfaccettature di Norma ma predilige i toni sommessi, adottando tempi piuttosto lenti che distillano dal dettato belliniano soprattutto sorda inquietudine, rimpianti, dolori, sensi di colpa e meste risoluzioni sacrificali. Stefano Secco è un Pollione che conduce con gusto ed equilibrio il registro medio e mostra un buon dominio delle asperità acute, all’interno di una cifra stilistica elegante ed espressiva. Alessia Nadin è un’ottima Adalgisa: mezzi vocali spettacolari le consentono di esibire un’ampia paletta di nuances, offrendo costantemente una efficace proiezione della voce. Gabriele Sagona, se pur con qualche difficoltà tecnica nella prima parte dell’opera, restituisce nel complesso la sacralità di Oroveso. Cantano bene Oleksandra Chaikovska (Clotilde) e Davide Scigliano (Flavio); efficace il Coro Lirico “Francesco Cilea”. L’ingresso libero fino ad esaurimento dei posti, caratteristica lodevolmente divulgativa del Bellini International Context, ha forse giovato a gremire il Teatro di un pubblico entusiasta e in buona parte giovane.