di Luca Chierici
A costo di ripeterci nelle nostre descrizioni dei recital tenuti da Mikhail Pletnëv quasi ogni anno a Milano, è sempre più chiaro come artisti di questo calibro siano letteralmente scomparsi dalla faccia della terra e le generazioni più giovani possono a ragione ascoltare e osservare Pletnëv come se fosse l’unico esemplare vivente di una stirpe che si è definitivamente estinta.
Il suono dello Shigeru-Kawai da lui personalmente approntato è solamente uno dei tanti motivi di plauso e di fascino di un modo di leggere la letteratura classica che si può permettere numerosissime deviazioni dal segno scritto e purtuttavia mantenere l’alto messaggio musicale d’origine.
Il recital era congegnato in modo tale da porre a confronto i due cicli di Preludi op. 11 di Skriabin e op. 28 di Chopin. Il primo ciclo era già stato presentato da Pletnëv diversi anni fa e ha preceduto quello di Chopin forse perché tradizionalmente considerato come appartenente ancora alla prima fase “post-chopiniana” del musicista russo. Il ciclo ha visto infatti la luce troppo in là (1894-1895, con idee risalenti ad alcuni anni prima) rispetto agli sviluppi del linguaggio occidentale, e al suo confronto il precedente capolavoro di Chopin contiene momenti avveniristici di portata nemmeno commentabile.
Sia nel primo che nel secondo caso Pletnëv ha proposto una lettura personalissima sia per la qualità del suono che per il rivolgimento di certi luoghi comuni. Soprattutto in Chopin, il pianista ha evitato le corse ad ostacoli che sembrano essere l’unica chiave di interpretazione degli artisti nati dopo gli anni Quaranta (Pollini, Argerich…) mostrando qui come oltre alla velocità di esecuzione esistano tanti altri parametri che aiutano a meglio comprendere il complesso pensiero dell’autore. Dato per scontato che per un pianista come Pletnëv, così come per Michelangeli, la bellezza assoluta del mezzo sonoro è in realtà anche una maschera che nasconde significati ben più complessi, verità apertamente inconfessabili, si è assistito alla narrazione di un ciclo (un mini-ciclo nel caso di Skriabin) che rivelava tanti aspetti nascosti. Al termine dei Preludi chopiniani sembrava che lo stanco pianista non avrebbe osato procedere con il rito dei bis, ma ciò non è avvenuto, regalando al pubblico tre numeri quasi esplicitamente dedicati a Horowitz: due studi stilisticamente appropriati al modello e uno di Moszkowski che il solo Horowitz era capace di eseguire senza sforare nel ridicolo.