Il crepuscolo degli dei chiude il ciclo al Teatro Massimo, coronando con successo la riuscita regìa di Graham Vick
di Monika Prusak foto © Rosellina Garbo
SI CONCLUDE CON GRANDE SUCCESSO la saga wagneriana dei Nibelunghi messa in scena al Teatro Massimo di Palermo dalla sapiente mano registica dell’inglese Graham Vick. La giornata finale, Il crepuscolo degli dei – apprezzata e applaudita a lungo dal pubblico del capoluogo siciliano insieme a un gran numero di turisti – appare la più riuscita dal punto di vista scenico e musicale: la straordinaria cura delle scene (Richard Hudson) e delle luci (Giuseppe Di Iorio) collabora con la buona resa dei personaggi, mentre la mano del direttore Stefan Anton Reck crea un’interpretazione che si muove in perfetta sintonia con tutto l’apparato scenico.
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Vick gioca molto sui contrasti luce-buio e bianco-nero, facendo dell’illuminazione una parte importante delle scene. In questa ottica, dopo la cupezza del Prologo con le tre Norne, figlie di Erda, che al posto della corda del destino preparano una carica esplosiva, il primo atto ambientato nel castello dei Ghibicunghi si svolge in un luminoso e super moderno appartamento di lusso con i protagonisti vestiti di bianco quasi fossero attori di spot pubblicitari di intimo, impegnati in festini con alcol e droga. Siegfried si inserisce in questo ricco contesto come il dio dei barboni come verrà effettivamente confermato dal finale dell’opera. Ancora più d’effetto è il secondo atto in cui avviene il doppio matrimonio tra Gunther e Brünnhilde e Siegfried e Gutrune. Siamo tutti invitati alla festa; la prima coppia sfila infatti tra le poltrone della platea, attorniata da paparazzi, camere televisive e intervistatori.
Come nelle precedenti ‘giornate’, il pubblico è coinvolto nell’azione, ma per la prima volta il coinvolgimento riesce così realistico. Tra gli invitati, qualche dama in pelliccia fa trasparire una sottile ironia nei riguardi del pubblico in platea. Con il terzo atto si ritorna al buio del Reno, raffigurato, come nel Prologo della tetralogia, attraverso il movimento delle sedie trasparenti, ma la ripetizione della scena stanca invece di attirare. Riescono bene, invece, le scene della morte di Siegfried, in cui i suoi seguaci raccolgono gli oggetti dell’eroe intorno al vecchio camper di Wotan, creando una sorta di altare in un accampamento di barboni. “Dio è morto” recita una scritta rossa in fondo al palcoscenico, mentre il Reno – grazie all’anello purificato dalla maledizione – ritrova il vecchio splendore. Lo spettacolo si conclude con i seguaci di Siegfried che ridendo mostrano le cariche esplosive nascoste sotto i mantelli. Siegfried acquista la nuova dimensione di dio dei fanatici: un’idea da brividi, ma anche un po’ forzata, perché non trova spiegazioni nel testo dell’opera.
L’interpretazione di Christian Voigt nei panni di Siegfried conferma l’impressione che la voce leggera del cantante non sia del tutto adatta al possente ruolo wagneriano. Tuttavia la scelta di Voigt trova una spiegazione all’interno di questa regìa, che tende a mostrare Siegfried come un eroe pasticcione, infantile e presuntuoso. È molto più forte la presenza scenica dei fratellastri Gunther e Hagen, interpretati rispettivamente da Eric Greene, già Donner nel Prologo della tetralogia, e Mats Almgren, che si distingue per la vocalità grave e robusta, estremamente convincente nel ruolo di un personaggio negativo. Tra i personaggi femminili spiccano la Wellgunde di Christine Knorren, già apprezzata nel Prologo, e la Waltraute di Victoria Vizin, mentre Gutrune di Elizabeth Blancke-Biggs manca di spessore vocale. La vera regina dell’ultima giornata del Ring, sia per quanto riguarda la partitura sia per l’interpretazione, è Brünnhilde, qui impersonata da Iréne Theorin. La cantante costruisce il personaggio poco a poco, conferendogli sin dall’inizio un aspetto drammatico che mancava nella precedente giornata: dall’amorosa vena iniziale fino al tragico finale, la valchiria cambia gradualmente per toccare lo stato di follia dopo il tradimento di Siegfried. Iréne Theorin affronta l’interpretazione con matura pacatezza e grande stile, appoggiati da una notevole sicurezza vocale e scenica, facendo di Brünnhilde una sposa distinta e generosa.
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