di Luca Chierici
Riccardo Chailly ha proposto per l’inaugurazione della stagione 2017-18 dei concerti della Filarmonica della Scala un programma davvero prezioso nel quale non era difficile cogliere evidenti fili conduttori. Stravinskij coltivava un rapporto davvero affettuoso con la musica di Čajkovskij, e nella partitura della Seconda sinfonia di quest’ultimo si ascoltano echi di motivi popolari come accade in Petruška (lo ha ricordato Salvatore Sciarrino in un suo bell’intervento per la presentazione della sua nuova opera, divagando in maniera intelligente). L’esecuzione dello Chant funèbre op. 5, lavoro del giovane Igor che si riteneva perduto e che era stato fatto ascoltare da Chailly quest’anno a Lucerna, spostava l’attenzione sulle capacità quasi mozartiane di Stravinsky nell’assimilare tutto quanto era nell’aria in quel periodo. Persino un accostamento armonico usato da Richard Strauss in Elektra, opera che, strana coincidenza, era stata presentata in pubblico, a Dresda, cinque giorni prima della esecuzione a San Pietroburgo di questo saggio sinfonico. Non a caso il capolavoro di Strauss viene citato con ammirazione diverse volte da Stravinskij nella sua corrispondenza.
La Seconda sinfonia di Čajkovskij era stata eseguita da Chailly alla Scala nel lontano 1983, e il pubblico milanese l’aveva potuta ascoltare ancor prima da un giovane Claudio Abbado, quando dirigeva i locali complessi della Rai. Sarebbe interessante andare a riascoltare quelle registrazioni, ma sicuramente ciò che Chailly e la Filarmonica hanno prodotto l’altra sera si colloca in una dimensione di ricercata raffinatezza che a quei tempi non era possibile tecnicamente raggiungere. Diverso è il discorso di Petruška, partitura anch’essa ben radicata nel repertorio di Chailly e qui eseguita nella versione del 1947, che toglie a mio parere qualcosa dell’immediatezza e del fascino originali. Fedele ai metronomi indicati dall’autore, Chailly ha a volte messo in difficoltà le parti solistiche (la tromba si è dovuta affannare non poco in uno dei celebri temi a lei affidati) e ha veicolato una esecuzione del capolavoro stravinskiano assai serrata e quasi presaga del “periodo cubista”. Un successo di pubblico franco anche se non eccezionale (gran parte dello stesso non immagina quale lavoro incredibile di concertazione sia necessario per arrivare a simili traguardi) ha accompagnato una serata che si è contraddistinta anche per un impianto che diremmo musicologico, per nulla scontato se si vanno a esaminare tante impaginazioni di concerti nei quali gli accostamenti vengono proposti a caso, o peggio sulla base della disponibilità di certi solisti.