Una lettura viepiù cameristica e analitica: non sono i cachet d’oro a procurare il miracolo, ma il lavoro a testa bassa di giovani artisti. La regìa trasporta l’azione nei luoghi verdiani


di Francesco Lora


ESECUZIONE DA PARADIGMA: ancora una volta e senza sorpresa, tale è il Falstaff di Giuseppe Verdi andato in scena al Teatro Alighieri per Ravenna Festival (23-26 luglio). Dirigeva Riccardo Muti, al suo unico appuntamento operistico italiano del 2015, e tanto potrebbe bastare a darne conto: ciò che differenzia la sua lettura da ogni altra è l’instancabile ricerca di rispetto ed esegesi in ogni segno dell’autore, in modo tale da servire il testo teatrale e musicale assai prima che il valore o il comodo dell’interprete.

Ne risulta un Falstaff dove ciascun cantante ha studiato con il concertatore la parte in modo così capillare da vestirla come una seconda pelle e da rifuggire la maschera dei calligrafismi; ogni parola è non solo detta con alta tecnica, ma è portata con vivacità, carattere, ombreggiature, piena immedesimazione e qualche divertimento. Si ha così il piacere, più unico che raro, di ascoltare vocalisti disposti a cantare piano, a sussurrare, a conversare in spirito di commedia e a rinunciare all’esibizione della voce piena o del personale colpo istrionico. In premio, il testamento verdiano sfoggia un ventaglio di informazioni ricco come mai altrove.

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Non sono i cachet d’oro a procurare il piccolo miracolo, ma il lavoro a testa bassa di giovani artisti pieni di merito. All’Orchestra Giovanile “Luigi Cherubini”, riassortita da pochi mesi, è bastata qualche settimana per definire la propria identità e reimporsi sui concerti della primavera scorsa: polposa ma asciutta, pensosa ma scattante, essa restituisce alla volontà di Muti un Falstaff sempre meno sinfonico e trascinante e sempre più cameristico e analitico. È scenografia da ascoltare.

Adeguato è a sua volta il Coro del Teatro Municipale di Piacenza e coesissima è la compagnia di canto. Kiril Manolov, monumentale nella corporatura e screziato di esotismo slavo nel timbro, dà luogo a un Sir John bonario e in forze, verosimilmente disposto a nuove avventure dopo l’insuccesso con le signore Ford e Page. La freschezza giovanile abbonda ancora nell’Alice di Eleonora Buratto, l’intraprendenza della quale non risulta affatto ingessata dall’essere moglie e madre. Bel contrasto le fanno a turno la Nannetta timida e vaporosa di Damiana Mizzi, la Quickly esplosiva e spudorata di Isabel De Paoli e la Meg ambrata e decisa di Anna Malavasi. Giovanni Sebastiano Sala reca a Fenton un’introversa semplicità adolescenziale, mentre Federico Longhi, come Ford, è tanto solido nel canto quanto attonito nel personaggio. Il Dr. Cajus di Giorgio Trucco è una macchietta senza eccessi, laddove Matteo Falcier e Graziano Dellavalle, Bardolfo e Pistola rispettivamente, non si limitano al ruolo dei cialtroni ma danno prova di arguta personalità.

L’azione è coordinata con mano leggera e rispetto della didascalia da Cristina Mazzavillani, ed è trasportata nei luoghi verdiani grazie alle luci di Vincent Longuemare e alle scene di Ezio Antonelli: la casa natale di Roncole diviene l’osteria della Giarrettiera, il teatro di Busseto diviene casa Ford e il parco della villa di Sant’Agata diviene il bosco per la burla finale; i costumi di Alessandro Lai, tuttavia, rimangono moderatamente elisabettiani anziché ricalcare la moda del tardo Ottocento. Uno spettacolo esemplare.

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Francesco Lora

Francesco Lora

È laureato in Discipline dell’Arte, della musica e dello spettacolo e dottore di ricerca in Musicologia e beni musicali (Università di Bologna), attualmente assegnista di ricerca in Musicologia e storia della musica (Università di Bologna, in precedenza Università di Siena). Con Elisabetta Pasquini dirige la collana «Tesori musicali emiliani» (Bologna, Ut Orpheus, 2009-) e vi pubblica in edizione critica l’Integrale della musica sacra per Ferdinando de’ Medici di Giacomo Antonio Perti (2010-11) e oratorii di Giovanni Paolo Colonna (La profezia d’Eliseo, L’Assalonne, Il Mosè legato di Dio e La caduta di Gierusalemme, 2013-21). Sue la monografia Nel teatro del Principe (sulle opere di Perti per Pratolino; Torino-Bologna, De Sono - Albisani, 2016) e l’edizione critica del manoscritto viennese Austriaco laureato Apollini (musiche di Ferdinando Antonio Lazzari, Giovanni Perroni e Francesco Maria Veracini, eseguite a Venezia, 1712, per l’incoronazione imperiale di Carlo VI d’Asburgo; Padova, Centro Studi Antoniani, 2016). Attende alla nuova catalogazione degli archivi musicali della Basilica di S. Petronio e di quella di S. Francesco in Bologna nonché dell’Opera della Metropolitana di Siena. Con Giulia Giovani cura la ricognizione e l’edizione dell’epistolario di Perti (Università di Siena). Collabora alla Cambridge Handel Encyclopedia, al Dizionario biografico degli Italiani, al Grove Music Online e alla Musik in Geschichte und Gegenwart. Dal 2003 è critico musicale per testate giornalistiche specializzate, inviato nelle massime istituzioni di spettacolo europee; collabora col «Corriere musicale» dal 2013. Nel 2020 la Fondazione Levi di Venezia gli ha conferito il Premio biennale “Pier Luigi Gaiatto”.

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