di Marco Testa


Sull’epoca della prima rappresentazione delle Nozze di Figaro (Vienna, 1786), da cui prese avvio il felice sodalizio Mozart-Da Ponte, ci ha lasciato un’interessante testimonianza Michael Kelly, il tenore irlandese che per primo impersonò Don Basilio e Don Curzio. Racconta Kelly che, durante una delle prove che precedette quella prima assoluta, nello stesso momento in cui Figaro (il basso livornese Francesco Benucci) andava intonando le note dell’aria Non più andrai, l’orchestra e tutti gli esecutori presenti sulla scena non poterono trattenersi dall’esclamare, tripudianti: «bravo maestro! Viva il grande Mozart…» e sembra che a quel coro entusiasta partecipasse anche lo stesso imperatore Giuseppe II, presente in sala. Le Nozze erano destinate a gloria duratura. E diuturna fortuna attendevano, insieme al poi celeberrimo e celebrato finale di quel primo atto, i personaggi creati da Beaumarchais: Figaro e Susanna naturalmente, il conte e la contessa di Almaviva, ma anche il giovanissimo paggio Cherubino, tra i personaggi più luminosi di tutto il teatro musicale, creditore di una crescente fortuna sino ad una rinnovata considerazione della sua collocazione all’interno dell’opera.

Proprio al personaggio di Cherubino e alla natura del suo ruolo nella folle journée ha consacrato tempo e fatica la musicologa e pianista frusinate Cinzia Dichiara, romana di formazione, in un denso e appassionato saggio intitolato Voi che sapete. Il personaggio di Cherubino ne «Le nozze di Figaro» (la splendida aria del secondo atto ha il vantaggio, secondo l’opinione dell’autrice, di comunicare al meglio lo spirito dell’intera opera). Il testo, pubblicato presso LIM, è stato edito più di due anni or sono e ne scriviamo pertanto con colpevole ritardo, convinti tuttavia sia doveroso occuparsene ancora oggi, considerata la rilevanza dell’argomento, l’interesse che suscita la tesi centrale del libro, di cui subito diremo, e soprattutto considerato il modo convincente con il quale l’autrice questa tesi ha sostenuto e suffragato.

Arriviamo al punto: il proposito di Cinzia Dichiara è stato quello di mettere in risalto la centralità di Cherubino (sul cui itinerario drammaturgico, sottolinea la stessa autrice, la critica si era in precedenza soffermata forse soltanto en passant) all’interno delle Nozze, la sua figura in rapporto agli altri personaggi, il suo ruolo di primo piano nel determinare gli avvenimenti. Una proposta per certi versi coraggiosa, la cui idea di fondo tuttavia non è del tutto inedita (già Giovanni Carli Ballola individuò nel paggio un personaggio chiave, e Alberto Jona lo avrebbe in seguito indicato quale «motore dell’azione»), ma il lavoro di scavo che l’autrice ha compiuto a sostegno di questa tesi non conosce paragoni. Un presupposto che si è fortificato col tempo e che ha finito per persuadere anche il grande musicologo americano Philip Gossett, con il quale Dichiara avviò anni or sono una felice collaborazione presso l’Università “La Sapienza”. Nell’introduzione al saggio, proprio Gossett, scomparso nemmeno un mese dopo la pubblicazione, confidò di essere stato in un primo momento scettico circa la proposta di Dichiara, ma dovrà tuttavia ben presto ricredersi, anzi infine rendendo atto all’autrice di aver offerto «un resoconto molto convincente, fornendo una potente dimostrazione della centralità del personaggio di Cherubino e dell’opportunità di rimodulare la nostra percezione dell’opera di Da Ponte e Mozart». Quest’ultima affermazione si rivela cruciale per completare il quadro, per dare sostanza compiuta alla per così dire rinnovata collocazione di Cherubino nelle Nozze di Figaro: se il paggio appare elemento chiarificatore, agente determinante e motore instancabile, è l’opera stessa che finirà per svelarsi sotto una luce nuova. Perciò ragionare su Cherubino significa scorgere, sotto nuove angolature, altri e magari inediti aspetti delle Nozze, aspetti che solo apparentemente sono slegati dallo stesso giovane paggio, ma che a un’attenta analisi un legame lo hanno eccome; significa riaffrontare criticamente il libretto, scandagliare nuovamente il carattere dei vari personaggi, il filo che li unisce e ne determina le manovre. E il tutto con un’attenzione (ciò che ci sembra uno dei principali meriti del libro) a non cadere nel parossismo, nella forzatura che porti acqua al mulino della tesi di fondo, a non sovrastimare o sottostimare le altre figure che popolano il castello di Aguas-Frescas.

Cherubino è dunque sempre presente e anzi in qualche modo centrale nell’azione. Lo è anche quando vi partecipa in modo limitato, come nel terzo atto, dove non ha alcuna parte cantata. Di più: tale centralità permane anche quando egli è assente dalla scena. In qualche modo Cherubino si pone in posizione trasversale rispetto ai vari personaggi, in un’ottica, per così dire, drammaturgicamente “leitmotivica”. Così in quelle lunghe ore fatte di intrighi, travestimenti e smascheramenti, Cherubino è l’autentico «catalizzatore del movimento dei personaggi principali, alimentandone l’azione con le sue incredibili trovate». Ma qual è la vera natura di Cherubino? A quale figura-simbolo si potrebbe accostarlo e quale posto gli spetta nella tradizione teatrale europea? Quando irrompe sulla scena per la prima volta (atto I, scena V) è proprio lui a introdurre l’elemento bizzarro e fantasioso, caratterizzando in modo unico la folle journée. La sua figura è assimilabile a quella di un inafferrabile spiritello, ora personificazione del “caso” ora genius loci, fanciullo alle prese coi primi turbamenti amorosi, autentico paradigma (mutatis mutandis insieme a Don Giovanni e Papageno) della condizione umana dell’amore, quindi un cupido, un donnaiolo in cui si intravede (oltre Don Giovanni) una figura che adombra il ritratto dello stesso Mozart. Si tratta di uno dei passaggi più interessanti del libro, più autentici, specchio di un rapporto, quello dell’autrice con Cherubino, di lungo periodo e viva intensità, che origina all’epoca in cui Dichiara era allieva presso il Mozarteum di Salisburgo. Ma anche strapazzatore di uomini, il nostro Cherubino, strumento di un’opera che irride i suoi tempi e le sue convenzioni sociali, tanto dal far dire a Wolfgang Hildesheimer (a torto o a ragione) che il Figaro fu, per Mozart, l’inizio della sua rovina.

Cherubino, lo si è detto, è il vero motore dell’opera, ma perché? È lui che fa muovere tutti i personaggi che, per l’età e per le convenzioni, cementati da ciprie, parrucche e sotterfugi, sono ormai cristallizzati, immobili, vecchi. Cherubino si muove e tutti muove, perché presenta stati d’animo e ambiguità di un adolescente, ben descritti dall’aria della quinta scena del primo atto. Forse non conosce neanche una donna, ma perché troppo giovane, le vorrebbe tutte, diversamente però da Don Giovanni, che ne conosce tante, stando all’elenco di Leporello, ma mantiene quel bisogno di conquista che può servirgli per confermare la propria virilità: è narcisetto, come lo sbeffeggia Figaro, non Narciso come il Cavaliere don Giovanni; non è un seduttore, ma si lascia sedurre dichiarando di nuovo, egli stesso, di non sapere che cosa sia l’amore se non forse, come così magistralmente e maliziosamente sottolineato da Wolfgang-Cherubino, dal rallentando e dall’improvvisa accelerazione in «parlo d’amor con me», fortemente, se non esplicitamente allusivo a pratiche adolescenziali. E dell’adolescente Cherubino mostra l’aspetto di una non ancora risolta ambiguità di genere, presentataci dalla voce di mezzosoprano, dal doversi facilmente da donna vestire e dal «vermiglio, donnesco color» per cui lo motteggia ancora Figaro, ma è questa la sua forza, quella che anima l’opera e che Cinzia Dichiara mostra di aver colto nel suo libro, preannunciando l’originalità di un nuovo personaggio e scongiurando la rovina preconizzata da Hildesheimer. Tutto questo e altro ancora si svelerà a poco a poco alla comprensione del lettore e dello studioso: appariranno utili (in particolare per il non impeccabile conoscitore di quest’opera e dell’Opera italiana in genere, ma non soltanto per lui) lunghe dissertazioni sugli altri personaggi, schemi e tabelle riassuntive, tutti utili elementi di supporto per il lettore non specialista, di utile rimando per quello specialista, a beneficio di una maggior comprensione del testo drammaturgico in generale quanto del ruolo di Cherubino in particolare, del perché sia egli effettivamente necessario allo svolgimento della trama, allo snodarsi degli intrighi.

Un libro, desideriamo sottolineare, ben scritto e articolato (non ci si può che accodare alla schiera di studiosi, anche illustri, che ne hanno ricavato un’impressione positiva e convincente), opportunamente denso e generoso di citazioni, molto spesso in lingua originale, di ampi riferimenti, di ragionati agganci con la filosofia, con la letteratura, con la storia e con la storia sociale della musica, con le altre arti, ciò che significa sostanzialmente inserire il discorso in una dimensione più ampia, vale a dire in un percorso culturale il più possibile completo. Un libro che ragiona su e intorno a Cherubino, sulle Nozze e sul mondo che le anima, sul teatro musicale e sulle novità apportate dall’opera medesima: non dichiarò Da Ponte, nella prefazione al libretto originale, dell’intenzione di creare «un quasi nuovo genere di spettacolo»?

Pure non mancano, come ci si sarebbe attesi, slanci squisitamente musicologici, ora (citiamo a esempio) sul ruolo che Mozart rivestì nell’impiego del clarinetto in orchestra (è noto come il Salisburghese fosse modernissimo in tal senso) ora all’attenzione alla funzione drammaturgica della tonalità, tema quest’ultimo di enorme fascino e riaffrontato di recente, tra l’altro, da colui che può essere definito l’attuale decano dell’estetica musicale italiana, Enrico Fubini (Intorno alla musica, 2019) che delinea un quadro in cui felice è l’aderenza della tonalità con temi giocosi e amorosi, sino ad affermare, come in altra sede sarebbe interessante comprendere a fondo e discutere, che «l’armonia tonale è fatta per narrare – s’intende musicalmente – drammi con lieto fine».

Un testo che offre occasione di riascoltare, riguardare e rileggere le Nozze di Figaro almeno in parte sotto una nuova lente. Richiamandoci a quanto Figaro disse a Cherubino nel finale di quel primo atto da cui siamo partiti, all’autrice e al saggio non vorremmo augurare «poco contante», ma «molto onor» si.

Marco Testa

Marco Testa

Cresciuto nell'isola di Sant’Antioco, ha compiuto studi storici e archivistici parallelamente a quelli musicali. Già collaboratore della cattedra di Bibliografia musicale del Conservatorio di Torino e docente dell'Accademia Corale "Stefano Tempia" (guida all'ascolto/storia della musica), attualmente è docente di storia della musica presso IMUSE Torino e collabora con festival e istituti di ricerca. Autore di saggi e articoli pubblicati in riviste specializzate, lavora principalmente per l'Archivio di Stato di Torino e scrive su "Musica - rivista di cultura musicale e discografica" e su "Il Corriere Musicale".

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