di Ida Zicari
Giusta la distanza storica con cui, dagli anni Novanta del secolo scorso, si è ricominciato a guardare all’operato di Alfredo Casella. Una sorta di Casella Renaissance, come è stato detto, che, a quarant’anni dalla morte del musicista torinese, è stata suscitata da rinnovate prospettive musicologiche e musicali. La nuova attenzione dedicata a Casella, esito di un’evoluzione di pensiero, tende, tra l’altro, a riconsiderare in sede critica i giudizi che hanno pesato sulla sua musica, a rimuoverne i pregiudizi, a ristabilirne il ruolo fondamentale nella cultura italiana dei difficili, sconvolgenti, anni dei due conflitti mondiali.
Scaturisce da questo nuovo indirizzo il volume edito da Lim, Alfredo Casella interprete del suo tempo, con la curatela di Carla Di Lena e Luisa Prayer, che raccoglie i risultati delle ricerche svolte in occasione delle giornate di studio promosse dal Conservatorio dell’Aquila nel 2015 e nel 2019. Si tratta di un doveroso tributo, certamente, da parte del Conservatorio aquilano e della città intera, offerto alla memoria del musicista che, come ha ricordato Renzo Giuliani, ha segnato con una forte impronta l’identità musicale abruzzese indicandone la strada del futuro; ma si tratta, anche e piuttosto, di un impegno editoriale che contribuisce a spingere più in avanti i confini della conoscenza di Casella, i suoi tempi, il suo lascito artistico.
La revisione critica della figura di Casella, oggi, non può non fare i conti con note pendenze come l’implicazione col fascismo, gli insuccessi di ricezione, l’incoerenza del suo eclettismo. A tal proposito, tra i contributi compresi nel volume aquilano, interviene il saggio di Gregorio Moppi a chiarire come quella della messa in scena del Deserto tentato fu per Casella un’operazione di “propaganda senza consensi”. Antonio Rostagno annovera tra i capolavori quell’opera tarda, la Missa solemnis “pro Pace”, che, velocemente liquidata e subito dimenticata, è restituita ora, con un’analisi rigorosa e appassionata, al suo più profondo valore di contenuti etici e spirituali. Guido Salvetti approfondisce la genesi parigina del ciclo di liriche L’Adieu à la vie, dando ragione di quella chiarezza comunicativa che per Casella fu l’imperativo sotteso a ogni esperienza pluristilistica. La sfortunata sorte nella ricezione del Concerto romano è ripercorsa da Carlo Ferdinando de Nardis, che, inaugurandone un nuovo corso, porta a compimento le sue ricerche sulla partitura con la realizzazione di un’edizione critica a stampa per l’editore Suvini e Zerboni.
Cionondimeno, è tempo di valutare il ruolo propulsore di Alfredo Casella anche in ambito didattico: le ricognizioni di Alessandra Carlotta Pellegrini, quindi, si rivolgono all’impegno senese nell’Accademia Musicale Chigiana; Cristina Cimagalli si occupa dei corsi romani di perfezionamento pianistico; Angela Annese racconta il Casella “maestro di Nino Rota”. Tredici lettere e tre telegrammi di Casella ancora inediti, invece, emergono dal fondo Virgilio Mortari dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia a opera di Annalisa Bini, per aggiungere un, sia pur piccolo, tassello all’attraente mosaico del rapporto con Mortari.
E se, fuor di ogni dubbio, per conoscere una musica la si deve ascoltare, merito va riconosciuto alle giornate aquilane di studio per aver proposto, durante le sessioni del convegno, l’ascolto di musiche caselliane eseguite dal vivo. Perché, se stupisce che i Pupazzetti, come ha rilevato Cristina Cimagalli, suscitarono all’epoca della composizione molta contrarietà per le novità di scrittura, stupisce, ancor di più, constatarne oggi le ostilità, talvolta.