È stata un’inaugurazione ben riuscita, quella della Stagione Invernale dell’Orchestra Sinfonica Siciliana, nonostante le note sindacali espresse, tristi ma non prive di speranza, in difesa degli strumentisti precari.
Sul podio dell’OSS è salito l’austriaco Christian Arming, direttore della New Japan Philharmonic, un artista giovane e carismatico, severo e conseguente nelle scelte interpretative. La sua forza sembra risiedere nella chiarezza del gesto e della mimica, che collaborano costantemente alla buona resa della musica e che cambiano del tutto col variare delle composizioni. Di conseguenza l’eleganza di Arming nel Valse dall’opera Faust (1859) di Charles Gounod si è riempita di gesti pieni dello charme viennese, offrendo così un’interpretazione emotiva e coinvolgente e catturando sin dall’inizio l’attenzione del pubblico. Diversamente nel brano finale della serata, il balletto Petrushka di Igor Stravinskij nella versione del 1946, il corpo del direttore si attivava nel trasmettere all’orchestra il suo pensiero, accompagnato da mimiche e gesti esigenti che cessavano ogni movimento nei momenti di assolo, lasciando spazio all’individuale interpretazione degli strumentisti. Arming si è trovato davanti ad un’orchestra capace di assecondare le sue richieste, che, soprattutto nella complessa partitura di Stravinskij, ha presentato un’affascinante gamma di colori, timbri e dinamiche. I suoni bruschi e sordi dei violoncelli e dei contrabbassi si sono contrapposti in un gioco di tinte alle sonorità impressioniste del flauto, al nostalgico suono del fagotto e all’allegria della tromba.
Il culmine della serata è stata, tuttavia, l’esibizione del pianista Roberto Prosseda, che oltre a presentare la moderna versione dell’antico piano-pedaliér, costruita unicamente dall’artigiano vicentino Luigi Borgato e chiamata “Doppio Borgato”, ha portato a Palermo il Concerto per piano-pédalier e orchestra in mi bemolle maggiore (1889) di Charles Gounod, riportato alla luce dallo stesso pianista in collaborazione con la Fondazione Palazzetto Bru-Zane ed eseguito per la prima volta in epoca moderna lo scorso Settembre al Duomo di Forlì. Il pianoforte con pedaliera aveva anticamente la funzione piuttosto pratica di offrire agli organisti uno strumento per esercitare la coordinazione tra le mani e i piedi senza bisogno di possedere un organo, scomodo per le sue dimensioni ingombranti. Il concerto di Gounod testimonia che non è stato esattamente così e che il fascino dei due timbri totalmente diversi del pianoforte e della pedaliera ha ispirato noti compositori, tra i quali appunto Gounod (ma anche Schumann e Liszt), a scrivere brani dedicati a questo particolare strumento. La critica dell’epoca ebbe qualche difficoltà ad accettare il nuovo timbro della pédalier definendola uno strumento “un po’ barbaro” o addirittura “indegno” (A. Pougin 1888), o “accessorio inutile” “dai bassi brutali” (Ch. Pagnerre 1890)*.
La ripresa moderna del pianoforte con pedaliera è, chiaramente, diversa dal suo fratello ottocentesco: il Doppio Borgato è costituito da due pianoforti a coda sovrapposti, il gran coda tradizionale e un secondo poggiato a terra, azionato da 37 pedali e munito da un piccolo coperchio che viene aperto durante l’esibizione. Ne fa buon uso Roberto Prosseda, concentrato sulla ricerca sonora che tende a esaltare quelli che, secondo i critici del XIX secolo, erano i difetti di questo strumento. Il doppio pianoforte non va usato come se fosse un organo, come ci ha spiegato lo stesso pianista dopo il concerto, perché sarebbe un utilizzo totalmente inappropriato che ne comprometterebbe la dinamica e il timbro. Prosseda adatta, infatti, la tecnica pianistica del trasferimento del peso per rendere viva la parte della pedaliera e ci riesce con un effetto sorprendente, anche nei movimenti più vivaci. Occorre avere abilità perché accanto alla pedaliera ci sono anche i tre pedali del pianoforte, che a momenti richiedono addirittura la posizione incrociata delle gambe, particolarmente scomoda per l’interprete. “È inoltre fondamentale” si legge nell’articolo di Prosseda nel programma di sala “mantenere una buona sensibilità tattile con la pedaliera” che richiede una calzatura particolare in tessuto molto sottile.
Il Concerto per piano-pédalier e orchestra di Gounod è un vero e proprio gioiello e non ci resta che essere grati per averlo conosciuto e apprezzato. La composizione articolata in quattro movimenti (Allegro moderato, Scherzo, Adagio ma non troppo, Allegretto pomposo) è colma di profondo sentimento che cresce d’intensità per culminare nella sua parte finale. L’Allegro moderato, dopo una breve introduzione dell’orchestra, fa capire che il protagonista assoluto di questo concerto sarà il solista: la pedaliera dialoga con il pianoforte, mentre insieme dialogano con l’intera orchestra. Lo stesso avviene nel successivo Scherzo, nel quale il pianista rimane più spesso da solo o, comunque, con un accompagnamento orchestrale di fondo. Le note iniziali dell’Adagio ma non troppo fanno da eco all’inizio dell’aria Lascia ch’io pianga dal Rinaldo di Haendel, creando un’atmosfera di totale nostalgia che prepara spazio allo struggente assolo del pianoforte. La scrittura di una cantabilità irresistibile di Gounod e il tocco magnifico di Prosseda permettono di mostrare appieno le ammirevoli potenzialità timbriche del Doppio Borgato, sia nella parte di pianoforte sia in quella della pedaliera. L’ultimo Allegretto pomposo corona tutto il concerto con il suo carattere festoso di marcia e in questo movimento, con l’effetto fanfare e il tremolo finale del timpano, maggiormente si svela il Gounod operista. Roberto Prosseda, applaudito a lungo per la sua eccellente interpretazione, ha bissato con la Marcia funebre per una marionetta (1873) di Gounod trascritta per piano-pédalier da Giuseppe Lupis.
Monika Prusak
*Si ringrazia l’organologo Giovanni Paolo Di Stefano per la gentile concessione delle fonti. [G. P. Di Stefano, Pleyel dopo Pleyel… I pianoforti della fabbrica “Pleyel Wolff et Compagnie” nella seconda metà del XIX secolo, Parte 1, articolo inedito]