di Elena Filini foto © Nicola Allegri
Ci vuole coraggio anche solo a parlarne, a rendere il proprio dolore pubblico. Ma insieme ci vuole coraggio nel pensare di ricominciare, nel portare avanti progetti pensati a due, da solo. E tuttavia, nonostante quella malattia incomprensibile e fulminante che in meno di due mesi gli ha sottratto la donna della sua vita, il tenore Fabio Armiliato non se la sente di lagnarsi con il destino. «Ci siamo incontrati nel momento del nostro zenit fisico e vocale – ricorda – io e Daniela per quindici anni abbiamo incarnato il prototipo dei grandi amanti sulla scena e nella vita. Nonostante la malattia e le indicibili sofferenze finali, abbiamo avuto tanto dal destino».
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Daniela Dessì, uno dei più grandi soprani dell’ultimo ventennio, è mancata il 20 agosto 2016 a 59 anni. «La diagnosi definitiva ci è stata emessa il 25 aprile, dopo che per un mese abbiamo girato medici ed ospedali, dopo che molti professionisti ci dicevano che tutto era a posto, e dopo che io addirittura ho pensato fosse solo ipocondria. Se solo due anni prima il medico avesse insistito per sottoporre Daniela ad una colonscopia, ora sarebbe qui». Il senso di vuoto è ancora grande, quasi acuito dal tempo. Però anche il dolor deve avere un senso. E così Fabio ha immaginato una fondazione intitolata al nome di Daniela Dessì. «Ma non la solita fondazione per la raccolta fondi: noi vorremmo fare prevenzione, collaborare per rendere esami scomodi, come la colonscopia, agevoli e veloci. Perché arrivare in tempo salva la vita»
Coppia d’oro della lirica, interpreti per qualità vocale e phisique du role perfetti per incarnare le grandi coppie dei drammi di Verdi, Puccini e del verismo, Fabio Armiliato e Daniela Dessì si incontrano artisticamente a Nizza.
«Complice fu Giancarlo Del Monaco – ricorda Fabio – mi chiamò e mi disse: sto facendo un Andrea Chénier, Neil Shicoff ha dei problemi e la signora Dessì è nervosa perché si trova tutti i giorni a provare da sola. Vieni». Così Armiliato andò in scena, e fu chiaro come tra i due ci fosse una grande compatibilità. «L’anno seguente all’Arena di Verona eravamo stati scritturati per Aida. Lì scoccò qualcosa, chi ci vide trovò che la principessa etiope e Radames fossero di un’intensità rara – conferma il tenore – forse già anche dentro di noi stava nascendo qualcosa. Di sicuro i teatri avevano già visto in noi una possibile golden couple per Francesca da Rimini, Fanciulla del West e titoli affini». È però dal 2000 che Fabio e Daniela decidono di diventare una famiglia. Hanno due figli piccoli quasi coetanei, avuti da due unioni precedenti e vanno a vivere a Gussago, sul lago di Garda.
«Daniela era un manuale di belcanto. Tecnicamente perfetta, natura dotatissima, istinto teatrale infallibile, ha insegnato moltissimo anche a me – spiega il tenore – che, a differenza di quanto avveniva per lei, non ho mai avuto la facilità vocale come acquisita e ho sempre continuato a lavorare su di me. Quando gli altri chiedevano alla signora Dessì che cosa la rendesse davvero felice, lei rispondeva che in me aveva trovato un supporto costante. Amava ripetere agli altri: Fabio è la mia roccia».
Quindici anni di palcoscenico, in cui la coppia Armiliato-Dessì dà corpo e voce al repertorio dell’Ottocento maturo e ad un verismo «che abbiamo tentato di riportare alle indicazioni degli autori, mondandolo di eccessi vocali ed interpretativi» sottolinea il tenore. Oltre al grande repertorio, la coppia ha cercato in tutti i modi di riportare la lirica al centro dell’interesse del pubblico.
«Sia io sia Daniela – conferma Armiliato – soffrivamo molto nel vedere come l’opera fosse diventata un prodotto d’élite. Hanno iniziato i contestatori sessantottini buttando le uova marce sulle pellicce delle signore alla prima della Scala. Il resto l’hanno fatto i programmi scolastici, che hanno escluso la musica dalle scuole. Ma il mondo dell’opera non è un mondo snob, dobbiamo ricordare a tutti che il melodramma nasce come prodotto popolare». E così prima a Sanremo poi con la Nazionale di calcio cantanti, Dessì-Armiliato hanno cercato di rendere la lirica fruibile ad un pubblico sempre più ampio. «Ma molto resta ancora da fare. Troppe teste bianche in teatro ma soprattutto, un’emorragia costante di spettatori». Anche per questo, per riportare l’opera alla fruizione di un pubblico sempre più vasto, aveva accettato la sfida di un provino con Woody Allen, diventata il successo hollywoodiano di To Rome with love in cui interpreta se stesso, un cantante lirico che però ha il blocco del pubblico e riesce a cantare bene solo sotto la doccia. «Geniale Woody! In un colpo solo si è fatto beffe di un certo theaterregie… però dodici ore sotto la doccia fredda per cantare Vesti la giubba difficilmente le scorderò»
Oggi Fabio Armiliato deve gestire una eredità impegnativa, il proprio successo e il suo principale pregio-difetto: l’odio per la routine. Un’opera del novecento desueto La Campana sommersa di Respighi lo riporterà in scena. E, insieme, un bel progetto che unisce il mondo del tango a quello dell’opera Recitar canTango. «Daniela amava ripetere: bisogna cercare di diventare bravi non famosi – conclude il tenore –. La serietà, l’amore per la professione e la generosità d’artista devono essere il suo più alto insegnamento».
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