di Riccardo Rocca
I BERLINER PHILHARMONIKER hanno tenuto fede al loro profilo: orchestra tradizionale per organico, ma stella polare della modernità per sonorità, repertorio e stile. Se Karajan li guidò in un avvincente percorso che, tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta, li rese i protagonisti dell’esplosione discografica, essi riconobbero più tardi nello stile “democratico” e in una certa sensibilità “filologica” di Abbado le nuove vie della direzione d’orchestra, rispetto alle quali gli anni di Rattle sembrano spiegarsi in un’ottica di sostanziale continuità. L’ipotesi che Christian Thielemann, signore assoluto di certo conservatorismo e attualmente al comando della lussuosa Staatskapelle Dresden, diventasse il successore dei sopraddetti era dunque improbabile nella misura in cui essa avrebbe smentito una storia iniziata nel 1955, quando i Berliner preferirono a Celibidache il visionario Von Karajan come successore di Furtwängler.
Kirill Petrenko incarna perfettamente la figura del direttore d’orchestra del nostro tempo, il cui potere carismatico consiste quasi esclusivamente nelle risorse del proprio intelletto e della loro concreta messa in atto. Una carriera iniziata negli anni Novanta come Kapellmeister alla Volksoper di Vienna, proseguita come direttore musicale al Teatro di Meininger prima e alla Komische Oper di Berlino poi, racconta di una gavetta condotta con pazienza e ambizioni squisitamente musicali. Alla Bayerische Staatsoper il suo impegno scade da contratto nel 2018: prima di Berlino dunque tre anni ancora devono passare, durante i quali il pubblico di Monaco potrà pascersi di lui.
Il lavoro svolto con la Bayerisches Staatsorchester negli ultimi due anni è stato straordinario, in un avvicendarsi di intense interpretazioni ispirate a presupposti di umile e sincera restituzione. Tra i nuovi allestimenti vanno almeno menzionati Die Frau ohne Schatten, Die Soldaten, Lucia, Lulu; e, tra le riprese, Tosca ed Evgenij Onegin, che per urgenza e intensità hanno oscurato la memoria dei suoi predecessori sul podio del teatro. La recentissima rilettura del Ring, riproposta anche a Monaco dopo Bayreuth, e i programmi sinfonici — poche settimane fa la trionfale tournée a Vienna e Budapest con La Valse, Sodom e Gomorrha di Hartmann e la Symphonie fantastique, ma vanno ricordate anche la Terza e la Sesta di Mahler dirette l’anno scorso — hanno confermato la superiorità delle sue proposte.
Le esecuzioni di Petrenko maturano attraverso un maniacale percorso di studio ed approfondimento, del quale le prove rappresentano soltanto lo stadio più estremo; in lui le ambizioni di perfezionismo, parziale conseguenza delle moderne e sedimentate tecnologie di riproduzione, si manifestano ad uno stadio di esasperazione che tanto ricorda le inquietudini che già furono di Carlos Kleiber. La lungimiranza della decisione dei Berliner sarà prossimamente evidente anche a quella parte di pubblico a cui il nome di Petrenko è sembrato spuntare improvvisamente dal nulla. Eppure in Italia qualcuno ben ricorderà, oltre ad un paio d’altre sporadiche apparizioni, quando nel 2001, scomparso Sinopoli, un siberiano dal sorriso sornione accorse in sostituzione a Torino per un già memorabile Rosenkavalier in forma di concerto con l’Orchestra Nazionale della Rai.