di Monika Prusak
Ralph Killhertz è lo pseudonimo artistico del compositore spagnolo Raúl Quílez. Appassionato del suono e della percezione che l’essere umano ha di esso, Killhertz concentra il suo lavoro sulla ricerca, sull’analisi e sul funzionamento dei meccanismi della percezione, nonché sulla creazione di strategie che permettono di convertire un ascolto attento in un meccanismo compositivo.
Compositore sperimentale e artista del suono, Killhertz è anche sviluppatore di nuove tecnologie musicali. Conoscitore esperto dei sistemi di diffusione sonora come Higher Order Ambisonic HOA, Transaural e Binaural Systems, ha condiviso il mondo della composizione con quelli dell’ingegneria e della registrazione. Da giovanissimo ha studiato pianoforte alla Scuola Municipale di Musica di Saragozza e successivamente ha perfezionato la sua formazione come direttore di coro e d’orchestra presso La Maîtrise de Nôtre Dame e presso il Centre d’Art Polyphonique di Parigi. Sempre nella capitale francese ha studiato l’ingegneria del suono presso la School Audio Egeneering Institute Paris. Laureato in Composizione Elettroacustica presso il CSKG-Centro Superior de Enseñanzas Musicales Katarina Gurska di Madrid, si è occupato dei diversi aspetti dell’interpretazione e della creazione musicale. Ha lavorato come ingegnere del suono con le maggiori industrie discografiche internazionali (Universal Music, EMI, DECCA o Milan Records per la quale ha collaborato alla colonna sonora originale del film Parla con lei di Pedro Almodóvar), e con artisti di fama mondiale tra cui Paco de Lucía, insieme al quale ha vinto il Latin Grammy per il migliore album flamenco del 2012 (disco “En Vivo conciertos España 2010”). Attivo come compositore di musiche originali da film, dal 2012 si dedica prevalentemente alla composizione elettroacustica. La sua composizione Transformations: Music for a Destinationless Journey (2024) ha vinto il secondo premio dell’ISAC 2024, International Sonosfera Ambisonics Competition “Eugenio Giordani” a Pesaro, ed è stata presentata all’Espace de Projection di Parigi durante la serata finale dei festeggiamenti del 30mo anniversario degli Ateliers du Forum dell’Ircam, che ha co-organizzato la seconda edizione dell’ISAC.
Quali sono state le sue prime esperienze musicali?
«Ho iniziato quando ero davvero piccolo, perché mio padre, musicista amatoriale, amava tenere molti strumenti in casa. Lui suonava la chitarra e la fisarmonica. Quando avevo cinque o sei anni ho cominciato a suonare insieme a lui e qualche anno dopo ho iniziato a studiare pianoforte presso la Scuola Municipale di Saragozza. Nonostante all’epoca non capissi perfettamente cosa stessi facendo dal punto di vista tecnico, ricordo una certa prossimità con la musica che mi teneva molto coinvolto. Conservo diverse immagini legate a quel periodo. Suonavamo musica popolare, semplici canzoni. Ricordo mio padre e mia madre passare lunghe ore con i loro amici a cantare e suonare insieme. Per me bambino sono stati dei momenti molto intensi».
Dopo aver concluso gli studi di pianoforte si è interessato alla direzione di coro e orchestra che l’ha portato a La Maȋtrise de Nôtre Dame e al Centre d’Art Polyphonique di Parigi. Quali sono stati gli inizi di questa nuova passione?
«Come quasi tutte le cose importanti che sono capitate nella mia vita, anche questa è successa per caso. Un giorno il padre di un mio compagno di classe mi ha invitato alle prove del suo coro per dargli una mano. All’epoca non avevo una grande considerazione delle formazioni corali, che immaginavo come gruppi canori di anziani. In effetti fu proprio come mi aspettavo. Tuttavia, ho iniziato a studiare con il coro municipale di Saragozza, che organizzava dei corsi per giovani direttori, e mi sono scontrato con un mondo sonoro totalmente nuovo, che ha cambiato la mia visione del canto corale. Ho deciso di andare in quella direzione perché sono stato attratto dalla gestualità musicale e dalla performance vocale, che arrivano all’ascoltatore in maniera estremamente diretta. Trovo il coro più d’effetto rispetto all’orchestra, perché le voci riescono a produrre una emozione immediata. All’epoca era un campo totalmente inesplorato per me: suonando il pianoforte ero sempre solo con me stesso, mentre lavorare con altre persone si è rivelato un qualcosa di magico e potente. Più tardi, in un altro corso di direzione che si tenne in un a località vicino a Lione, ho incontrato una persona che avrebbe cambiato il mio modo di comprendere, sentire e interpretare la musica, Nicole Corti. Nicole mi ha suggerito di preparare l’esame di ammissione al Conservatorio di Lione, dove lei era insegnante di direzione corale e così ho fatto, ma non sono stato ammesso. Dopo qualche tempo Nicole è stata scelta per dirigere i cori de La Maȋtrise de Nôtre Dame di Parigi e io l’ho seguita per studiare lì».
Nicole Corti ha avuto, quindi, una importanza particolare nella sua vita professionale?
«Nicole è stata molto importante per me per quanto riguarda la relazione tra maestro e discente. È la persona che mi ha mostrato come vivere la vita attraverso la musica. E non si tratta solo dell’insegnamento musicale, è un modo di contemplare la vita. Lavoro in questa maniera tutti i giorni. È come un mantra ed è importante per quanto riguarda sia la composizione che l’interpretazione».
Parigi è stato anche il luogo dove ha approfondito gli studi di ingegneria del suono. Ha lavorato poi con alcune delle etichette più importanti nel mondo della musica classica e pop e ha l’esperienza nel cinema anche come compositore di colonne sonore originali. Che ruolo hanno avuto queste collaborazioni nella sua vita?
«È una parte un po’ contraddittoria della mia vita. A volte, anche se ci adattiamo bene a una determinata cosa, non significa che le apparteniamo. Sono tornato in Spagna dopo aver trascorso quattro anni in Francia, nel frattempo, per alcuni mesi, ho vissuto anche a Barcellona, e infine mi sono trasferito a Madrid. Ho subito iniziato a lavorare in un grande studio di registrazione, facendo l’assistente, il fonico e il pianista durante le sessioni di registrazione. È stato un bel lavoro che mi ha permesso di girare il mondo ed è stato un momento molto importante per me, perché sento che in quei dieci anni circa ho imparato moltissime cose. Dentro di me sentivo, tuttavia, che non fosse il mio posto. Non posso dire di non essere stato sodisfatto, questo lavoro è il sogno di tante persone, ma non ero felice. Così ho deciso di iniziare gradualmente un mio percorso personale. Ho cominciato a dire no a certi lavori e a impegni fuori dalla Spagna, perché non volevo stare troppo lontano da casa. Ho deciso di smettere di lavorare in studio e questo mi ha dato il tempo per creare qualcosa di mio».
Così ha iniziato a creare composizioni elettroacustiche. È stata una vocazione?
«Ero molto curioso della tecnologia. Ancora a Parigi un giorno sono andato all’open day dell’Ircam e quello che ho trovato dentro quel posto mi è esploso nella testa. Questo ricordo è molto rilevante, perché è stato esattamente così: quel giorno mi ha cambiato la vita. Allo stesso tempo con Nicole Corti lavoravamo molto sul repertorio vocale contemporaneo. Anche il contatto con Notre Dame è stata un’esperienza molto importante per me. La ricerca intorno alla tecnologia è dentro di me. Avevo tutti gli ingredienti per iniziare e ho detto ok, proviamoci. L’elettroacustica è molto interessante perché si basa su una continua ricerca: ho una narrazione, un linguaggio, i meccanismi del suono, ma mi interessa trovare nuove risposte».
Il suo percorso creativo inizia intorno al 2012 con le prime composizioni elettroacustiche. Come è cambiato negli anni?
«Mi sento soddisfatto di come ho iniziato. Spesso, quando cresci, ti rendi conto delle imperfezioni delle tue prime opere. Nel mio lavoro di oggi ci sono molti aspetti in comune con gli inizi. Naturalmente i modi, i materiali, gli stati d’animo, le domande e le risposte, sono diversi. Ma penso che ci sia qualcosa di molto rappresentativo in ogni momento della mia vita, nella composizione e in generale. Posso dire che mi riconosco in tutte le mie composizioni».
Quale delle sue composizioni è la più importante per lei?
«Le composizioni più importanti sono quelle a cui sto lavorando in un dato momento. Ho bisogno di avere la mia scrivania impegnata, è fondamentale. Durante il processo di composizione, accadono tante cose belle ma anche difficoltà, chiaramente. È bello anche trovare le soluzioni, perché non hai niente e devi inventarti tutto. Una volta arrivato all’obiettivo finale, è sempre una sensazione incredibile».
Tra le sue composizioni Ignominia è un’opera particolare, creata per far parte di una grande installazione, e che ha un argomento attuale, ovvero quello della guerra.
«Ignominia è una grande installazione live del 2016 creata per uno spazio a Madrid. Avevo deciso di creare un mega coro, che in quel momento per me era la voce della coscienza. Ho registrato numerosissime voci che sono state molto difficili da sincronizzare, ma il risultato è davvero impressionante: lo spettatore cammina e ha sopra la testa un coro massiccio, che riempie lo spazio dell’installazione attraverso due grandi sezioni di altoparlanti sospesi a diverse altezze. Una sensazione incredibile del suono che arriva dal cielo e che offre un ascolto globale del coro e allo stesso tempo riesce a trasmettere le singole voci con i loro suoni e persino i respiri. È stato necessario per me far uscire quelle emozioni, ma non volevo fosse un grido politico. Soltanto una espressione personale del momento».
Un’altra opera interessante è la Resonant Piano Experience…
«Resonant Piano Experience è stato forse il vero inizio della mia creazione, che ha avvicinato la composizione alla trasduzione percettiva. È un processo molto semplice di creazione di oggetti sonori artificiali, con suoni reali come quello del pianoforte. È stato molto interessante sviluppare un’altra soluzione narrativa nella mia visione del suono e della musica. Resonant Piano è come un normale pianoforte da concerto che ha dei catturatori e dei piccoli microfoni di superficie all’interno che inviano il suono al computer che usa diversi algoritmi. Si hanno, quindi il suono elettroacustico e il suono del pianoforte che possono combinarsi tra di loro».
Qual è, invece, il suo approccio al pubblico?
«Cerco sempre un modo per raggiungere il pubblico. Penso che la cosa più importante per un essere umano sia il pensiero astratto. Immaginiamo un uomo di qualche migliaio di anni fa di fronte al mare, che immagina che oltre questo mare ci siano altre cose. Immaginare cose che in questo momento non esistono, ma appunto, si possono intuire o ipotizzare. Penso che il suono e la musica abbiano questa proprietà ed è importante riuscire a catturare l’attenzione del pubblico. Per far ciò è necessario creare un’atmosfera e un ambiente favorevoli. Il suono può evocare delle immagini, diverse per ciascuno di noi, che contengono i nostri ricordi e i pensieri astratti, e questo è davvero molto importante per me e per la mia musica».
È anche molto curioso il fatto che il suo pubblico indossi le cuffie durante i concerti.
«L’uso delle cuffie è interessante per me per diverse ragioni. Amo lavorare con il suono spaziale che credo sia il presente della rappresentazione musicale e sonora. Con la tecnologia binaurale possiamo uscire dallo spazio del suono. Non è roba ambisonica, è chiaro, ma si ha comunque la possibilità di ascoltare la musica o di sentire il suono in modo diverso. Per il resto, quando indossi le cuffie non ci sono interferenze intorno a te e in quel momento sei con la mia musica e te stesso, nient’altro. Lo trovo fondamentale per creare la connessione che cerco».
Arriviamo così alla sua recente esperienza ambisonica con la composizione Transformations: Music for a Destinationless Journey che ha ottenuto il secondo premio al concorso ISAC 2024 a Sonosfera di Pesaro…
«Transformazioni… penso che il nome sia molto appropriato per il mio modo di vedere le cose. Trovo molto importante il fatto di rimanere connessi, nel senso di essere connessi con se stessi. È necessario per tutti. Penso anche che gli artisti abbiano una missione: portare alla luce le cose importanti che spesso risultano invisibili, perché c’è troppo rumore negativo intorno a noi. Per questo lavoro ho collaborato con la terapista del suono Clara Alfaro: abbiamo lavorato sui suoni e sulle emozioni, e abbiamo registrato un piccolo album, una tavolozza di “colori” molto interessante come nella pittura. È molto importante per me andare oltre i preconcetti culturali ed estetici per potersi connettere con il pensiero astratto. Lo stesso riguarda il suono».
Quale impatto ha avuto la partecipazione all’ISAC 2024?
«Innanzitutto, durante questo concorso ho conosciuto delle persone incredibili. Siamo rimasti molto tempo nella stessa stanza, completamente isolati, con tante domande anche senza risposta. Viaggiare dopo all’Ircam di Parigi e trovare altre persone con sensibilità artistica simile alla mia, nonché vedere con i miei occhi come diversi gruppi di persone lavorano nello stesso modo, è stato molto importante per me. È stata una boccata d’aria fresca».
E cos’è per lei Sonosfera, questo piccolo anfiteatro del suono?
«Sonosfera è un tempio. Un tempio del suono. È incredibile. Se la mente del compositore fosse un luogo, sarebbe Sonosfera. È un ottimo, unico nel suo genere, ambiente per l’ascolto, e non è così facile ottenerlo. In altri luoghi puoi avere un buon suono, ottime attrezzature, ottimo staff, ma non puoi ottenere gli stessi risultati. Sonosfera è una sorta di laboratorio del suono, una incredibile macchina di sentimenti, che aumenta la capacità del suono di toccare l’anima. Il suono ha connessione diretta con la memoria quando la sensazione è molto potente e nel caso di Sonosfera ciò si verifica in maniera profonda».
Può essere difficile per un pubblico non preparato seguire i concerti elettroacustici?
«Penso che tutto dipenda dai contenuti. Diversi compositori hanno approcci e obiettivi diversi. A volte è molto importante avere una determinata risposta e non sei pronto, perché la tua musica venga ascoltata da altri. Ma penso che la musica, in generale, sia un viaggio molto interessante per tutti. Se sei curioso, dentro l’organizzazione sonora ci sono tantissime risposte alle tue domande, e può essere una esperienza incredibile. Questa è la vera questione della musica e del suono: preparare un viaggio per gli ascoltatori».
Secondo lei, in che direzione sta andando la musica di oggi?
«Penso che la musica non vada in nessuna direzione. Penso che la musica in generale ci sia molto vicina, perché credo che la musica sia una proiezione dei nostri sentimenti, di noi stessi. La vera domanda è forse: dove sta andando l’essere umano. Perché la trasformazione fa parte della storia dell’essere umano. E la musica è forse un modo interessante per trasformare l’uomo. È una domanda-reazione a catena: dove va la musica, dove va la società, dove va l’essere umano? Secondo me stiamo vivendo un momento molto intenso. Siamo davvero disconnessi. Connessi nel mondo reale, ma totalmente disconnessi da noi stessi. Forse noi musicisti possiamo rattoppare questo gap per aumentare la probabilità che le persone rimangano connesse. La musica del futuro sarà una conseguenza della direzione dell’essere umano, poiché lo stile dipende dalla reazione della gente alla realtà circostante. È un riflesso dell’umanità».
Nella luce di queste considerazioni, qual è secondo lei il ruolo della musica contemporanea nella società di oggi?
«Per me la musica è un qualcosa di generale. Non c’è una musica classica o contemporanea. È vero che sono diverse, ma è sempre musica. L’uomo spende molta energia della sua evoluzione dentro la musica, ma la musica non è necessaria per sopravvivere. Allo stesso tempo la musica ha una enorme importanza nella vita sociale dell’uomo, perché l’uomo è sociale per natura. Abbiamo bisogno di appartenere a un gruppo di persone per sopravvivenza e la musica ha il ruolo di unire, avvicinare le persone; in un certo senso è essa stessa la rappresentazione della società. In questo momento storico la questione è più complessa, perché viviamo costantemente immersi nel rumore, non un rumore acustico, ma un “rumore” di notizie ad esempio, spesso false. Io non credo nell’aspetto politico della musica e dell’arte in generale, ma la realtà è spesso opposta. Se sei un compositore e hai bisogno di creare opere, hai bisogno di una residenza artistica, e per ottenerla a volte devi andare a compromessi. Tuttavia, non credo nell’immersione politica del compositore in questo momento storico di rumore e caos. La cosa più importante per me è quello che c’è dentro e non fuori di ogni persona, ed è la direzione nella quale voglio focalizzare il mio lavoro e la mia esperienza artistica».