di Luca Chierici
Un bel programma concentrato sui primi lavori dei musicisti della cosiddetta Seconda scuola di Vienna è stato presentato dalla Filarmonica della Scala attraverso la direzione di Riccardo Chailly un giorno prima che avesse luogo la conferenza stampa di presentazione della nuova Stagione.
Per l’anno prossimo è previsto quasi il proseguimento dell’impaginato del concerto di cui stiamo parlando, ancora con lavori di Schönberg e Berg, autori che assieme a Webern erano in lista nella serata appena ascoltata. Si trattava nel caso di Webern di un’ “opera prima” (la Passacaglia) mentre di Schönberg si ascoltava la versione per orchestra di Verklärte Nacht e in quello di Berg dei “tre frammenti” dal Wozzeck.
Nella sua duplice natura di “poema sinfonico” e di pagina astratta pensata per un organico (il sestetto d’archi) di classica derivazione brahmsiana, Verklärte Nacht è una composizione che può essere ascoltata e analizzata da prospettive completamente differenti. Questa “Notte trasfigurata” nasce nella sua forma originale di sestetto nel 1899. Schönberg aveva allora 25 anni e nella sua formazione musicale da autodidatta era cresciuto sulla scia di una tradizione di stampo prettamente germanico, che vedeva in Wagner e in Brahms gli epigoni di una gloriosa scuola di pensiero che si ricollega addirittura al nome di Sebastian Bach. Prima del compimento delle opere dichiaratamente atonali (1908) e di quel manifesto della dodecafonia che sono i Klavierstücke op.23 , Schönberg rivela in Verklärte Nacht l’espressione estrema di una tensione che l’armonia classica era ancora in grado di sopportare dopo la disgregazione cromatica wagneriana. “Composi in quel periodo dei poemi sinfonici in un solo movimento, conferendo loro le dimensioni delle opere di Strauss e Mahler che consideravo come modello” scriverà l’autore molti anni più tardi, e in questo caso l’etichetta di poema sinfonico (ossia di composizione che si ispira a una matrice di origine extra-musicale) deriva a Verklärte Nacht dall’omonima lirica di un poeta allora molto di moda, Richard Dehmel (1863-1920). Il testo, tratto dalla raccolta Weib und Welt (“Donna e mondo”), narra del rapporto conflittuale tra due amanti; la donna confessa all’uomo di portare in grembo un figlio generato dal marito, che ella non ama. L’amante accetterà infine la situazione, facendo appello a tutto il proprio amore per la donna. Le cinque sezioni di cui si compone la partitura potrebbero illustrare fedelmente le situazioni – o meglio i sentimenti – che vengono descritti nel poema, ma sarà lo stesso Schönberg, in una riflessione postuma (1950),a porre in guardia l’ascoltatore dal prendere troppo alla lettera una identificazione tra musica e parole. Dopo avere messo a punto una prima elaborazione orchestrale nel 1917-1919 e dopo averne effettuato una ulteriore revisione nel 1943, l’autore scriverà che l’opera “ha acquisito delle qualità che possono soddisfare un ascoltatore ignaro di ciò che la musica potrebbe descrivere o, in altre parole, offre la possibilità di essere considerata come musica allo stato puro”.
Solo un anno più tardi vedeva la luce , quando l’Autore aveva sempre 25 anni, la Passacaglia op.1 di Webern, prima opera pubblicata ufficialmente e ultimo lavoro scritto ancora sotto la supervisione di Schönberg, con il quale egli aveva iniziato a studiare quattro anni prima. Dopo un esordio non ufficiale attraverso la composizione di numerose liriche per canto e pianoforte e l’Idillio per orchestra Im Sommerwind (1904), Webern si era dedicato su consiglio di Schönberg allo stile quartettistico, ottenendo notevoli risultati nel Langsamer Satz e nel Quartetto per archi in un solo movimento (1905); la Passacaglia rappresenta quindi il ritorno di Webern alla grande orchestra e il termine di un lungo periodo di apprendistato. Il lavoro verrà nondimeno pubblicato dalla Universal solamente nel 1922, a quattordici anni di distanza dalla sua creazione. Forse il motivo di maggiore fascino della Passacaglia op.1 risiede in una fusione di elementi che trasforma la fissità della ripetizione di un tema principale in un continuo processo di variazione non solamente del tema stesso ma anche di idee accessorie che contribuiscono ad agitare un clima destinato altrimenti a rimanere entro confini armonici prestabiliti.
I tre frammenti dal Wozzeck derivano da una richiesta effettuata a Berg nel 1923 dal direttore Hermann Scherchen e racchiudono alcuni tra i momenti più pregnanti dell’opera. Due dei tre frammenti hanno come protagonista la figura di Marie e sono stati interpretati con grande passione dal soprano tedesco Marlis Petersen che si è letteralmente fusa con gli orchestrali della Filarmonica che già si erano segnalati per bellezza di suono e perfetta integrazione con il pensiero di Chailly nei precedenti lavori. Il finale berghiano con la spettrale apparizione del piccolo figlio di Marie e dei suoi compagni di giochi ha rinnovato la commozione che sempre ci assale ogniqualvolta riascoltiamo questo luogo musicale che anche Chailly avrà avuto ben presente nelle oramai storiche esecuzioni scaligere di Claudio Abbado.