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Il ventunenne pianista originario dell’Uzbekistan, a Milano per la Società dei Concerti, ha mostrato di possedere personalità straordinaria e individualità spiccatissima in un programma che allineava brani di Schubert, Beethoven e Liszt
di Luca Chierici
[Egrave]originario dell’Uzbekistan, ha 21 anni, ha ricevuto la paterna benedizione nientemeno che da Vladimir Ashkenazy e ha inciso per la Decca pochi mesi fa il primo cd con pagine di Liszt e Prokof’ev. Al termine del concerto dell’altra sera, in Conservatorio, le copie del disco che erano disponibili per la vendita nel foyer sono andate esaurite in pochi minuti. Un nuovo falso prodigio alla Lang-Lang ? Un nuovo pianista-velocista tipo la Wang? Grazie al cielo no, e questa probabilmente è l’occasione buona per salutare un vero artista, di quelli che compaiono alla ribalta una volta ogni venti, trent’anni.
Che Bezhod Abduraimov appartenga alla stirpe rarissima dei cosiddetti Götter- Knabe, i ragazzi prediletti dagli dei, è evidente fin dal suo ingresso in sala e dal suo atteggiamento alla tastiera: composto, immerso totalmente nella musica, in comunicazione diretta con il compositore e alla fine quasi schivo nel raccogliere gli applausi (insomma tutto il contrario dei suoi già citati colleghi). Inizia con la Sonata D 664 di Schubert e qui mi riservo l’unico appunto: una pennellata di Brendel, ossia una breve lezioncina da parte del massimo interprete vivente del musicista viennese, forse non farebbe male a Abduraimov, che entra da par suo in quel mondo affascinante ma forse prende troppo alla leggera l’accompagnamento danzante nel finale, regalandoci in compenso una serrata esecuzione dello sviluppo contrappuntistico. Lo spirito wienerisch non è ancora nelle corde del giovane pianista, che avrà ben modo di maturarne le suggestioni in un prossimo futuro. Ma è la volta del numero che convince definitivamente il pubblico, quell’Appassionata di Beethoven che Bezhod rende con implacabile scansione, con quel senso dello stupore che evoca ancora oggi la percezione delle straordinarie novità di linguaggio presenti nella Sonata, con una attenzione massima eppure del tutto naturale ai momenti di tensione estrema del discorso.
La seconda parte di una serata già diventata incandescente si svolge nel nome di Liszt e anche qui pare di percepire una ventata di novità pur nel rispetto dei canoni interpretativi che sono alla base di un gioco pianistico trascendentale e di un furore romantico portato agli estremi. Il rarissimamente eseguito Scherzo und Marsch, cavallo di battaglia di Horowitz e, a quanto ricordo, da noi riportato alla luce soltanto dall’intelligentissimo Bruno Canino, trova in Abduraimov un interprete ideale, che sorpassa in virtuosismo e scatto felino persino il mitico Volodia. La Bénédiction de Dieu viene eseguita con somma passione, insolita in un giovane dell’età di Bezhod, e infine il Mephisto Walzer raggiunge i livelli di eccellenza tecnico-interpretativa di una storica incisione del mentore del giovane pianista, Ashkenazy.
Bezhod Abduraimov è dotato di una personalità straordinaria e di una individualità spiccatissima: ciò che abbiamo sentito rispettava quel livello di gusto e di tecnica che oggi si richiede a qualsiasi artista degno di nota, un livello reso imprescindibile da duecento anni di storia dell’interpretazione. Ma a questa piattaforma, che consideriamo alla base di qualsiasi proposta artistica odierna nel campo della musica colta, il pianista aggiungeva moltissime idee nuove sviluppate con grande convinzione interiore. Il linguaggio romantico è quello che più gli si confà al momento, e in chiave romantica Abduraimov ha eseguito tra i bis la splendida Sonata in si minore di Scarlatti, seguendo il consiglio che dal cielo gli inviava il grande conterraneo Emil Gilels, ossia scegliendo un tempo moderato là dove tutti si gettano in uno sterile esercizio toccatistico.
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