Quando il titolo può cambiare lo sguardo profondo sull’opera. La nuova edizione del saggio di armonia, a poco più di cinquant’anni dalla prima pubblicazione italiana, propone una collocazione musicologica più ragionata, necessaria per rileggere oggi il fondamentale testo
di Marco Mologni
«TRATTATO DI ARMONIA» O «MANUALE DI ARMONIA»? Per rispondere a questa domanda ci sono voluti cinquant’anni. Nel 1963 Giacomo Manzoni e Luigi Rognoni pubblicarono la prima edizione italiana del testo capitale di Arnold Schönberg che nel 1911 aveva sancito la nascita di una musica «altra» e dato nuovi stimoli alla rinascita della musica stessa. La tradizione tonale, giunta al capolinea con il post romanticismo tedesco e quindi già messa in crisi da Wagner e Mahler, venne ripensata, dando all’armonia uno slancio di rinnovamento. La traduzione di Manzoni, pur giungendo in Italia con un ritardo di oltre cinquant’anni, fece epoca e permise al pubblico italiano di leggere questo testo fondamentale. Ma fu anche vivacemente contestata. A partire dal titolo: «Manuale» di armonia. Fu Luigi Dallapiccola in persona a contestare una scelta definita senza mezzi termini «riduttiva». La scomunica seguiva solo di pochi giorni l’uscita in libreria nel 1963.
Non siamo di fronte a un manuale di armonia, secondo gli schemi precostituiti nell’insegnamento dei Conservatori, anche se Franco Donatoni lo adottò a lungo al Dams di Bologna. Siamo di fronte a una vera e propria fenomenologia del linguaggio musicale, continuamente soggetta alle modificazioni dell’esperienza viva dell’arte
Eppure sono dovuti passare cinquantadue anni prima che «giustizia» fosse fatta. Ci ha pensato una nuova edizione del testo di Schönberg, curata da Anna Maria Morazzoni (su Schönberg già curatrice dei diari di Leggere il cielo nel 1999 e della raccolta di scritti Stile e pensiero nel 2008) e Giada Viviani. Nuova a partire dal titolo: «Trattato» di armonia. Pubblicato da il Saggiatore, il volume è stato presentato anche nella sala del Grechetto della Biblioteca Sormani di Milano da Anna Maria Morazzoni insieme con il compositore e docente Stefano Gervasoni e Carlo Torresani, esperto della Seconda Scuola di Vienna e responsabile dell’ufficio promozione del Teatro alla Scala. «Schönberg – spiega Morazzoni – in quest’opera multiforme si rivolge ai suoi allievi. Ed è innegabile che il testo sia stato adottato come manuale. Ma è innegabile che il nuovo titolo renda finalmente giustizia a un testo che ci porta dentro la “cassetta degli attrezzi” di Schönberg. Un lavoro dove “attraversi” la musica dal Seicento al Novecento ma nello stesso tempo scopri tanti aspetti dell’uomo Schönberg. Un compositore affascinante a partire dal suo modo unico di insegnare».
Ma ad aprire questa controversia decennale su quale titolo fosse davvero giusto forse fu Schönberg stesso. Che a corredo della sua fatica scrisse: «Questo libro l’ho imparato dai miei allievi. Vorrebbe essere un manuale e servire come tale a fini pratici. Ma non potrò per questo evitare a volte di schiudere nuove prospettive». La nuova edizione è aggiornata alle recenti acquisizioni sullo stile e il pensiero degli scritti di Arnold Schönberg: «Siamo convinti – ha aggiunto Morazzoni – che quest’opera sia un caposaldo della cultura occidentale, con la quale ancora oggi devono confrontarsi non solo i musicisti, ma chiunque voglia studiare l’arte del Novecento».
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Esiste un ideale trait d’union tra il nuovo volume e l’autore stesso, evidente fin dallo scritto che apre le oltre seicento pagine, firmato da Nuria Schoenberg Nono: «Che mio padre la considerasse una delle sue “opere” importanti, s’intuiva da come ne parlava. E come poteva non essere così, se nel 1911 vi appose la dedica a quel “santo” (così lo chiamò nell’elogio dopo la sua morte) di Gustav Mahler. Mio padre amava l’insegnamento. Diceva: “Da ragazzo, appena conoscevo qualcosa di più dei miei compagni, glielo spiegavo”. E ancora, verso la fine della sua vita: “Sono un insegnante appassionato; ho insegnato tutta la mia vita”. All’università e nelle lezioni private lo vedevo agire con fervore, inventare esempi musicali alla lavagna, spiegare con parole semplici e analogie le leggi e gli strumenti del compositore. Faceva analisi di opere del passato. Cercava sempre il modo migliore per comunicare con gli studenti, più o meno dotati».
Importante e ricca di nuove prospettive è anche l’introduzione, firmata da Anna Maria Morazzoni: «L’intreccio tra scritture è uno dei caratteri principali della personalità creativa di Schönberg. La prima stesura dell’opera avvenne nel 1910, dopo aver completato i George-Lieder op. 15, i Cinque pezzi per orchestra op. 16 ed Erwartung op. 17, ovvero le opere in cui realizzò l’emancipazione dalla dissonanza”; la revisione fu condotta nel 1921 in coincidenza con l’elaborazione del “metodo di composizione con dodici note, in rapporto soltanto l’una con l’altra”, e la sua prima applicazione nel quinto movimento dei Pezzi per pianoforte op. 23, seguito a breve distanza dalla Serenade op. 24 e dalla Suite op. 25, interamente dodecafoniche. La personalità plurale di Schönberg riguarda pure gli intenti di questo volume: da un lato è un manuale per apprendere e comprendere l’armonia tonale sin dalle nozioni elementari, dall’altro conduce l’allievo e il lettore fino ai “confini della tonalità”, tracciando una linea evolutiva che approda necessariamente a innovazioni radicali. I due piani derivano dall’esperienza didattica – così vasta da permettere di trasferirla in un libro ancora prima di raggiungere i quarant’anni – e dalla convinzione di porsi come continuatore della grande tradizione musicale germanica, amata e temuta». Con Schönberg fu superata la distinzione tra consonanza e dissonanza, nessun suono poté più essere considerato «non armonico», tutte le note della scala cromatica assunsero pari dignità. Schönberg si stava avviando verso i confini della tonalità – le prime composizioni dodecafoniche sarebbero arrivate all’inizio degli anni venti – nella piena consapevolezza che lo studio dell’armonia classica fosse alla base di ogni evoluzione musicale e che «i presupposti della dissoluzione del sistema siano racchiusi nei presupposti sui quali esso si fonda». Perché avventurarsi in un’impresa come ritradurre completamente un’opera di simile complessità? «Perché – ha risposto Torresani – l’attività didattica di Arnold Schönberg occupa un posto fondamentale nella cultura musicale del Novecento.
Non siamo di fronte a un manuale di armonia, secondo gli schemi precostituiti nell’insegnamento dei Conservatori, anche se Franco Donatoni lo adottò a lungo al Dams di Bologna. Siamo di fronte a una vera e propria fenomenologia del linguaggio musicale, continuamente soggetta alle modificazioni dell’esperienza viva dell’arte. Da qui la necessità di ricollocare questo testo in una nuova prospettiva rispetto a dove lo aveva posto la prima edizione». Sulla stessa lunghezza d’onda Stefano Gervasoni: «Come docente, non ho mai adottato questo volume, che in Francia da sempre si legge come uno scritto di Schönberg e non come un libro didattico. Ciò che affascina oggi di tale pubblicazione è la consapevolezza dell’autore di andare oltre il futuro. In questo artista c’era la consapevolezza di porsi di fronte alla storia per voltare pagina. Schönberg per primo ha capito che l’armonia aveva in sé i germi della propria dissoluzione».
Nel 1911 il Trattato di armonia nacque come strumento di lavoro, frutto di un importante vissuto pedagogico e figlio di un sapere armonico, prima pratico che teorico. Il suo linguaggio denso, lirico e complesso al tempo stesso – ricco delle idiosincrasie, frasi sospese e digressioni improvvise tipiche del parlato – restituisce l’atmosfera delle lezioni di Schönberg a Vienna e a Berlino. Ma quest’opera andò ben oltre la mera spiegazione della teoria e della tecnica del comporre. L’attenzione dell’autore si volse, spesso con ampi excursus, anche al contesto storico-politico e alle arti visive con interlocutori come Kandinskij, Kraus, Loos. Un manuale ma anche un testo di un uomo con lo sguardo aperto al futuro, un luogo dove ancora il lettore che accosta queste pagine viene trasportato.
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