Per l’Unione Musicale si è esibito l’ensemble del flautista Hugo Reyne con un curioso accostamento tra musica e cioccolato
di Attilio Piovano
CONCERTO OLTREMODO INTRIGANTE E CURIOSO quello proposto dall’Unione Musicale a Torino entro la raccolta cornice del Teatro Vittoria la sera di lunedì 20 aprile 2015. Protagonista l’ensemble La Simphoníe du Marais fondato dall’estroso e arguto flautista Hugo Reyne nel lontano 1987 e da allora iperattivo con una geometria variabile che può comprendere fino a settanta elementi. Classe 1961, solidi studi in flauto dolce e oboe, già apprezzato sodale di barocchisti del calibro di Brüggen, Herreweghe, Leonhardt e Savall, Reyne – fatta salva la professionalità assoluta di strumentista dalla tecnica impeccabile – è personaggio versatile avvezzo ad introdurre il pubblico nel suo universo musicale con modi tanto garbati quanto insoliti; sicché confeziona spesso “concerti originali nei quali la musica può affiancare la poesia, il teatro, la danza, l’architettura, la gastronomia o addirittura l’equitazione e collabora regolarmente con narratori, attori, danzatori, cuochi”.
Nel caso del concerto dello scorso 20 aprile già il titolo metteva l’acquolina in bocca: Musiques et chocolat, Viennoiseries musicales; e si è trattata di una serata quanto mai sinestesica che, come da premessa, oltre all’udito e alla vista coinvolgeva il gusto, prevedendo succulenti assaggi nel corso della serata del più sensuale tra i dolci: Messer il Cioccolato che a Torino, si sa, vanta una ultrasecolare tradizione; mastro cioccolataio, applaudito e avidamente apprezzato in sala, esponente della premiata Ditta Ballesio di Leinì che non ha lesinato un profluvio di corposi assaggi di gianduiotti tagliati a mano e cioccolatini con varie percentuali di cacao (molte le domande del pubblico alle quali il mastro cioccolataio ha risposto con dovizia di particolari dinanzi al divertito e impassibile aplomb dei musicisti stessi).
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L’intento esplicito di Reyne (affiancato per l’occasione da un ottimo quartetto d’archi costituito dalle violiniste Stéphanie Paulet e Sandrine Naudy, dalla viola di Jean-Luc Thonnérieux e dal violoncello di Jérôme Vidaller) era infatti quello di ricreare il clima e l’ambiente tipico dei caffè viennesi di inizio Ottocento. Non solo: altro protagonista assoluto è stato il flauto czakan, curioso aggeggio diffuso nella prima metà del secolo XIX in Boemia e Austria e soprattutto in Ungheria quale strumento di suonatori dilettanti e girovaghi. Si tratta di un flauto in forma di bastone da passeggio, in realtà un flauto a becco con imboccatura piegata ad angolo retto sì da poter servire all’occorrenza come impugnatura e dotato di bocchino. E allora ecco Reyne giungere in sala con tanto di cilindro in testa, suonando il curioso strumento come una sorta di ‘pifferaio magico’ tra le file del pubblico. E subito si è creato un simpatico feeling tra Reyne stesso e gli astanti. L’interprete ha poi iniziato a narrare con gioviale verve aneddoti e curiosità legate allo strumento stesso accattivandosi la simpatia del pubblico.
Poi ecco il primo brano in programma: una serie di Variazioni dovute ad Anton Heberle, musicista di probabile origine ungherese che, secondo l’annuncio di un concerto svoltosi a Vienna nel 1810, sarebbe nientemeno che l’inventore dello czakan. Costui si azzardò perfino ad ideare una Sonata brillante e financo un Concerto per czakan e orchestra (circa 1815). Virtuoso indiscusso, Heberle fu oltremodo prolifico e con lui altri musicisti quali Anton Diabelli e soprattutto Ernest Krähmer (1795-1837), in assoluto lo strumentista più importante che si sia dedicato al czakan. Le ricerche di Reyne in varie biblioteche d’Europa, come egli stesso ha narrato arringando il pubblico con doti di simpatico affabulatore (tanto che ben presto il solerte traduttore ha finito per restare in panchina) hanno fatto emergere oltre 400 composizioni originali.
Non già di capolavori assoluti si tratta: per dire il Concert Polonaise n. 1 op. 5 di Krähmer stesso e così pure il Concert Polonaise n. 2 op. 13 sono pagine brillanti quanto frivole, fatue e salottiere condotte in uno stile prossimo alle maniere di un Donizetti, ma con frequenti e insistiti spunti di danza. Nulla di epocale a dire il vero, ma l’occasione per Reyne di sfoggiare una maestria inappuntabile, sia maneggiando il czakan nelle sue varie taglie, sia il flauto a becco o flauto dolce con il quale, ben assecondato dai colleghi citati, si è perfino azzardato ad interpretare il mozartiano Quartetto K 285 composto come noto per il dilettante Willem van Britten Dejong, olandese “amateur de musique” per il quale scrisse anche Dittersdorf, Quartetto che Mozart compose a Mannheim nel 1777. Emozioni specie nell’Adagio centrale impregnato di spleen col suggestivo pizzicato degli archi, quindi il finale Rondeau affrontato da Reyne a velocità sostenuta e con sicurezza invidiabile.
Applausi convinti e pubblico lieto di aver partecipato al singolare evento musical-dolciario. Uscita dalla sala in un clima di festa generale e, per chiudere in ‘dolcezza,’ ancora cioccolata calda per tutti.
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