Prima esecuzione in Germania del titolo rossiniano. La direzione musicale è di Antonino Fogliani
di Riccardo Rocca foto © Patrick Pfeiffer
CENTONOVANTAQUATTRO ANNI HA DOVUTO PAZIENTARE Bianca e Falliero per ottenere un’esecuzione in una Germania i cui teatri sembrano continuare ad ignorare la ricchezza e varietà del catalogo rossiniano; ed è questa ragione sufficiente per conferire al Festival rossiniano di Bad Wildbad l’onore al merito della prima esecuzione tedesca. Il fatto che il compositore nel 1856 vi abbia soggiornato e preso venti bagni termali è bastato alla cittadina di Bad Wildbad per inaugurare nel 1989 un Festival che ogni anno presenta un interessante programma incentrato sulla musica di Rossini e dei suoi contemporanei. Rispetto all’omologo festival pesarese vanno elogiate la particolare cura e la finezza con cui la piccola cittadina nella Foresta Nera celebra Rossini per gli angoli del paese: se il Kurpark pullula di citazioni d’argomento rossiniano che splendidamente si accompagnano all’idilliaca quiete del luogo, nel centro è possibile scambiare due parole direttamente con Rossini, che con salace realismo una statua ritrae al bordo di una fontana nell’atto di prendere un bagno.
Una tale gradevole cornice sembra quasi ingentilire una probabile limitatezza di risorse invece necessarie per ardire all’impresa di allestire un’opera complessa come Bianca e Falliero. Ultima partitura composta per la Scala e quintultima delle opere italiane di Rossini, essa richiede per l’esecuzione un terzetto di interpreti di qualità superiore, possibilmente un direttore d’orchestra che ad essi sovrintenda ed eventualmente un regista che comprenda ed ami la drammaturgia rossiniana. Poiché un contesto rossinianamente scoraggiante come quello tedesco necessiterebbe di produzioni ben altrimenti all’altezza, ancor più dispiace constatare come il tentativo di Bad Wildbad sia stato onorevole ma dall’esito piuttosto debole.
Tra i tre protagonisti spiccava l’esperienza di Cinzia Forte, la cui interpretazione è stata sì corretta, ma forse non commisurata alle doti musicali e sceniche che una primadonna della Scala come Violante Camporesi dovette offrire a Rossini nel 1819; d’altra parte scritturare per la parte del senatore Contareno Kenneth Tarver — che di per sé avrebbe voce ben educata — è un azzardo sia sul fronte della personalità, che si vorrebbe non ingessata ma bensì un misto di toni patetici e grandiosi, sia della vocalità, che andrebbe non corta e di grazia ma bensì virtuosa ed estesa. Più centrata ed interessante invece Victoria Yarovaya nei panni di Falliero: l’elegante personalità ed un buon senso musicale le hanno consentito di sopportare un contesto esecutivo poco favorevole ed offrire almeno una persuasiva interpretazione della cavatina «Se per l’Adria»; più insidiosa invece la grande scena delle catene del secondo atto, la cui riuscita può però sempre contare sui sublimi trasporti della musica di Rossini.
Se la parte strettamente musicale di questa produzione è stata piuttosto interlocutoria per via di alcune sorprendenti sviste dei Virtuosi Brunensis — forse troppi spettacoli e troppe poche prove in pochi giorni? — e delle conseguenti intemperanze del loro concertatore Antonino Fogliani, il tentativo registico di Primo Antonio Petris è partito in svantaggio per via di una sala, la Trinkhalle, adatta alle libagioni che le danno il nome più che alla rappresentazione di opere liriche. Al di là del luogo, tuttavia, affinché una messa in scena si distingua da un’esecuzione in forma di concerto è necessario un lavoro che non disattenda alcuni fondamentali del linguaggio teatrale, a partire dalla prossemica dei personaggi in rapporto al libretto e, possibilmente, alla musica sulla quale lo pronunciano. Tarver che nel celebre quartetto del Secondo atto con sguardo opaco canta al pubblico «Folle amor ti fa mendace, egli è reo, perir dovrà» — frase che, musicata da Rossini in tono assertivo ed arrogante, andrebbe intensamente rivolta a Bianca — è stata purtroppo solo una delle spiacevoli incurie di questo spettacolo.