Terezín • Come fu possibile comporre musica e suonarla in un campo di concentramento? Nel “campo modello” di Terezín, in Cecoslovacchia, furono internati alcuni dei migliori musicisti d’Europa
di Joža Karas*
Poiché non c’era nessun tipo di distrazione a Terezín, gli uomini del primo Aufbaukommando passavano le loro serate nelle baracche a cantare melodie popolari, e Schächter mostrò loro la via da seguire. Poco dopo, alcuni giovani musicisti del secondo gruppo, che si erano precedentemente incontrati nel campo di Lípa, introdussero clandestinamente diversi piccoli strumenti musicali nell’area del ghetto. I prigionieri erano autorizzati a portare con sé nel campo 50 kilogrammi di beni di prima necessità, come indumenti, coperte e cibo, ma non certo strumenti musicali.
Per un musicista di professione lo strumento è però una necessità assoluta, e molti di loro si accollarono il rischio di essere scoperti: Karel Frölich non portò con sé solamente il suo violino, ma anche la sua viola, e il suo amico Kurt Maier la fisarmonica. Si racconta anche la storia di un ingegnoso violoncellista che smontò in più pezzi di legno il suo strumento, li avvolse in una coperta con colla e graffe, poi, arrivato a Terezín, lo ricompose e ricominciò a suonare. È ugualmente probabile che le SS guardassero con una certa benevolenza gli Aufbaukommando, perché i loro numerosi membri si erano offerti come volontari e pertanto perquisivano meno severamente le loro valigie e gli zaini.
Il primo documento che testimonia un programma di concerto risale al 6 dicembre 1941, solo due giorni dopo l’arrivo del secondo Aufbaukommando. Lo spettacolo si svolse la sera nella sala n. 5 delle “Sudetenkaserme” (…)
Il violinista Karel Frölich e il fisarmonicista Kurt Maier cominciarono le attività musicali sin dal loro arrivo a Terezín, suonando per gli altri detenuti nelle loro dimore, vale a dire nei solai e negli scantinati delle baracche. All’arrivo di nuovi convogli altri artisti andavano ad accrescere le fila degli improvvisati performer, così verso il Natale dello stesso anno Egon Ledeč confortò i suoi compagni di sventura con il suono rincuorante del suo violino.
All’epoca i nazisti avevano già scoperto l’esistenza di questi concerti clandestini, ma non li proibirono, al contrario il 28 dicembre approvarono le cosiddette Kameradschaftsabende (serata d’amicizia), incoraggiandone in tal modo il rapido sviluppo: la spiegazione di questo sorprendente atteggiamento risiedeva nel fatto che i prigionieri sarebbero presumibilmente meno inclini a fomentare disordini.
tratto da “La musica a Terezín”, pp. 42-44, ed. il melangolo
Albert Einstein • Ricordo del grande scienziato, del suo talento di musicista e dei suoi incontri con Charlie Chaplin. In Germania viene ripubblicato Mein Kempf, edizione con commenti. “Farà chiarezza”
di Rosario Vigliotti
N el 1926, mentre era impegnato in una serie di conferenze negli Stati Uniti, Albert Einstein incontrò Charlie Chaplin. Einstein ammirava il talento di Chaplin e fu proprio sua moglie Elsa a confidare all’attore regista inglese il desiderio che lui e suo marito scambiassero quattro chiacchiere in tutta tranquillità (Charlie Chaplin, La mia autobiografia, Mondadori 1964). Convinto dalla signora Einstein a «non fare le cose in grande», Chaplin invitò a casa sua solo altri due amici.
Dopo cena, la moglie dello scienziato tedesco raccontò del lontano mattino del 1905 in cui suo marito aveva partorito la teoria della relatività. Appena svegliatosi, aveva bevuto solo un caffè e, ancora in vestaglia, si era messo a suonare il pianoforte. «Cara», le aveva detto fermandosi ogni tanto, «è un’idea fantastica, sensazionale!», e quando lei gli aveva chiesto di cosa si trattasse, lui aveva risposto che doveva prima sviluppare l’idea. E si era rimesso a suonare, fermandosi ogni tanto per prendere appunti.
Dopo circa mezz’ora era andato a rinchiudersi nel suo studio, dal quale sarebbe uscito due settimane dopo con la teoria della relatività redatta su due fogli, sintetizzata nella celebre equazione E = mc2.
Quando anni dopo Chaplin ricambiò la visita dagli Einstein a Berlino, vide che il pianoforte nero su quale lo scienziato aveva abbozzato la rivoluzionaria teoria era il mobile più prezioso del loro modesto appartamento. Einstein suonava anche il violino. Prima di aver compiuto diciassette anni aveva sostenuto l’esame di musica presso la sua scuola cantonale. Amava Mozart e Brahms, e non aveva mai fatto mistero che se non fosse diventato uno scienziato sarebbe voluto essere un musicista. Ebbe modo di stringere amicizia con Artur Rubinstein, col violoncellista Gregor Piatigorsky e col violinista Bronisław Huberman. Quest’ultimo era andato a fargli visita all’Università di Princeton, nel 1936, per invitarlo a sostenere un’orchestra che avrebbe preso il nome di Israel Philharmonic. Cinque anni prima dell’incontro con Huberman, lo scienziato tedesco e sua moglie avevano intuito il terrore nazista che stava per abbattersi sulla Germania e sul mondo e avevano cercato asilo negli Stati Uniti.
Non erano riusciti a mettersi in salvo altri sei milioni e mezzo d’uomini e donne, con i loro bambini, che in nome di una religione e di un’inesistente disuguaglianza razziale avrebbero perso la vita nei campi di concentramento disseminati in mezza Europa. A loro e agli scampati all’Olocausto è dedicata la Giornata della Memoria che si celebra il 27 gennaio d’ogni anno. Commemorazione più che mai necessaria anche se si pensa agli sconsolanti risultati della ricerca condotta nel 2012 da Klaus Schroeder, professore di scienze politiche alla Freie Universität di Berlino (vedi corriere.it del 29 giugno 2012). Metà degli studenti liceali tedeschi di cinque tra i maggiori Länder del Paese (Baviera, Baden-Württenberg, Nord Renania-Vestfalia, Sassonia-Anhalt e Turingia, tre all’Ovest e due all’Est) non sa che Hitler era un dittatore, mentre un terzo di loro pensa sia stato un protettore dei diritti umani (forse proprio per questo è stata ripubblicata in questo gennaio la versione commentata di Mein Kampf di Adolf Hilter, ndr). Dall’inchiesta di Schroeder emerge, inoltre, che quattro ragazzi intervistati su dieci ritengono del tutto simili democrazia e dittatura.
Nel 1940 Chaplin parodiò la figura di Adolf Hitler ne Il grande dittatore e, a proposito del pianoforte sul quale Einstein aveva abbozzato la teoria della relatività, annotò anni dopo nella propria autobiografia: «Mi sono spesso chiesto che fine abbia fatto. Può darsi che sia allo Smithsonian Institute o al Metropolitan Museum; ma può anche darsi che i nazisti se ne siano serviti per accendere il fuoco».
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