L’imperdibile tournée della Filarmonica di San Pietroburgo continua questa sera e domani a Bologna e Rimini. Abbiamo ascoltato i concerti milanesi in programma per MiTo Settembre Musica
di Patrizia Luppi
Se vi è possibile, non perdete i due concerti che Yuri Temirkanov dirigerà in questi giorni dal podio dell’Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo: questa sera, sabato 10, al Teatro Manzoni di Bologna per Bologna Festival; domani sera all’Auditorium Palacongressi di Rimini per la Sagra Musicale Malatestiana. Per fortuna in Italia non sono rarissime le occasioni di ascoltare le magistrali interpretazioni di questo gentiluomo minuto, elegante, ironico, nato 73 anni fa tra i monti del Caucaso; ma ogni volta è gran festa.
Nemmeno il Festival MiTo Settembre Musica poteva farsi sfuggire, tra le grandi orchestre ora in tournée italiana, la gloriosa compagine pietroburghese. Due serate a Torino, due a Milano, riunite sotto un titolo preso in prestito da Ian Fleming, “Dalla Russia con amore”; programmi solo in parte sovrapposti: il 5 settembre, nel torinese Auditorium del Lingotto, il Cajkovskij dell’ouverture-fantasia Romeo e Giulietta e della “Patetica”, al centro la Rapsodia su un tema di Paganini di Rachmaninov con il pianista Nikolai Lugansky; l’8, la Suite da “L’amore delle tre melarance” di Prokof’ev, Pulcinella e Petrushka di Stravinsky.
Anche alla prima serata milanese (il 6 in Conservatorio) partecipava Nikolai Lugansky. Moscovita, trentanovenne, interprete di riferimento per Rachmaninov di cui ha inciso parecchio in cd, Lugansky ha colpito tanto per il sovrano dominio della tastiera quanto per la raffinatezza con cui ha affrontato la Rapsodia su un tema di Paganini: le 24 variazioni sul tema del 24esimo Capriccio per violino solo che rappresentano l’ultimo lavoro per pianoforte e orchestra (1934) del compositore.
Delle doti superlative della Filarmonica di San Pietroburgo molto si è detto e scritto; ma ogni volta si rimane felicemente sorpresi di fronte alla compattezza e la duttilità dell’insieme, l’impasto perfetto degli archi, la flessuosità dei legni, la nitida potenza degli ottoni, la precisione delle percussioni, le qualità solistiche delle prime parti (in particolare rilievo, nel Rachmaninov ispirato a Paganini, la spalla dalla lunga chioma leonina, Lev Klychkov). Temirkanov, direttore principale e artistico della Filarmonica, è noto per dirigere senza bacchetta: una scelta, lo racconta sovente lui stesso, che fu obbligata e non volontaria come spesso si crede. Quando Temirkanov era giovane, in una Russia dalle limitatissime risorse economiche, una volta scomparso l’ultimo artigiano in grado di fabbricarle nessuno si prese la briga di raccoglierne l’eredità, così le bacchette divennero un bene irraggiungibile. È dunque a causa di questa emergenza che Yuri Temirkanov ha sviluppato il suo gesto singolare, ampio e nondimeno precisissimo, con il quale dirige in profonda comprensione reciproca (condizione per lui fondamentale) la sua fenomenale compagine.
Nel primo concerto milanese, oltre a Rachmaninov, la colorata e pungente Suite da “Le tre melarance” e la Quarta di Cajkovskij resa con verità di partecipazione e pathos, ma assolutamente mai con enfasi, così come i due Romeo e Giulietta della sera successiva: l’ouverture-fantasia cajkovskijana (versione 1880) e la suite dal balletto di Prokof’ev, con una scelta di numeri diversa da quella più tradizionale, oltre alla fantasia sinfonica di raro ascolto Francesca da Rimini, ancora di Cajkovskij. Sensibilità, profondità, intelligenza, magnetismo, energia, luminosità: tutto si direbbe di Temirkanov sul podio, e ancora sembra poco. Il pubblico ha accolto con un calore straordinario le esecuzioni, tributando il meritato successo trionfale al direttore, all’orchestra e al solista.
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