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Presentate a Firenze in prima assoluta alcune pagine strumentali e vocali di recente scoperta
Una piccola rassegna dedicata al secolo del Barocco musicale chiude festeggiando un nuovo Vivaldi. Il salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio in Firenze ne è stato la fastosa cornice. Una delle più compiute e magnificenti espressioni del Rinascimento tardo ha fornito la degna accoglienza ad un pubblico numeroso quanto curioso di riappropriarsi di un altro importante mattone verso la ricomposizione della vastissima produzione del Prete Rosso.
di Laura Bigi
Il labirinto di carte sparse per il mondo, testimoni di storie di passaggi di mano i più stravaganti e il lavoro di verifica dell’autenticità come di ricostituzione del testo originale che coinvolge peritissimi musicologi e musicisti, sono i nodi che si uniscono nel progetto di edizione critica dell’intera opera vivaldiana coordinata dal dipartimento di studi musicali della Fondazione Giorgio Cini di Venezia, sede dell’Istituto Italiano Antonio Vivaldi.
Nel presentare le otto nuove acquisizioni, Federico Maria Sardelli (membro del comitato scientifico dell’Istituto e celebrato direttore d’orchestra di Modo Antiquo) e Francesco Fanna (direttore del suddetto Istituto) ricordano, a ragione, il paradosso che ha coinvolto, fino a non molti decenni orsono, la musica di Vivaldi: compositore osannato e modello saccheggiato nel Settecento almeno fino all’anno della sua morte (1741), l’autentico Vivaldi è stato prestissimo dimenticato, disperse e sparpagliate le sue musiche. E mentre nel corso dell’Ottocento altri compositori venivano riabilitati attraverso la neonata coscienza storica e filologica (Bach e Händel su tutti), Vivaldi rimaneva sepolto nelle nebbie dell’oblio. O piuttosto nella polvere di qualche archivio.
Così fu che nel 1927 un collegio di salesiane del Monferrato si accorse di possedere un tesoro: un numero cospicuo di fascicoli manoscritti di musiche vivaldiane, appunto, ceduti alla Biblioteca di Torino e che andarono a costituire il fondo Foà-Giordano, primo fondamentale nucleo dal quale prese avvio la ricerca. Nel 1939 Guido Chigi, con il consiglio di Alfredo Casella, decise di dedicare la prima edizione del festival Settimana Musicale Senese proprio a Vivaldi. Nel 1947 Antonio Fanna fondava l’Istituto Italiano Antonio Vivaldi, che nel 1978 entrò a far parte della Fondazione Cini. Stando così le cose, si può ben capire quanto lunga sia, invero, la strada percorsa fino ad oggi in così breve spazio di tempo, complici la tecnologia e la volontà di restituire all’uomo un bene prezioso. In collaborazione con la casa Ricordi, tutta la musica conosciuta del repertorio strumentale è stata pubblicata e lo stesso vale per la musica vocale sacra e profana, mentre da dodici anni è in corso l’edizione del teatro vivaldiano. Certamente, ancora molti documenti rimangono da stanare.
Veniamo alle scoperte odierne.
Proposte in prima assoluta nella serata del 7 Ottobre appena scorso, sono state due Sonate per violino e continuo (RV 815 in Do maggiore e RV 816 in Re maggiore), un Concerto per violino principale, archi e continuo (RV 817 in La maggiore) e un Concerto per flauto traversiere archi e continuo (RV 431° in Re minore, scoperto tra gli anonimi di Dresda dallo stesso Sardelli con Olivier Fourés) detto Il Gran Mogol. Insieme a questi lavori strumentali, quattro Arie da L’Inganno trionfante in Amore (RV 721 I.8; II.2; II13; II10), opera ad oggi nella sostanza perduta, di cui solo si conosceva la data di rappresentazione in Venezia (1725), il libretto e un’aria.
Se il Concerto per violino rappresenta una “freschissima prova di bravura composto probabilmente per Johann Georg Pisendel, allievo-predicatore del culto vivaldiano in Germania” (Sardelli), le due Sonate (riemerse a Londra da una trascrizione per tastiera per merito di Michael Talbot) non sono inferiori in ricchezza espressiva (ciò che più importa all’estetica barocca). Insieme all’Orchestra Barocca Modo Antiquo diretta da Sardelli, era l’ottimo violino di Valerio Losito: non un suono muscolare, michelangiolesco, esasperato nella fioritura delle figurazioni più rapide, come talvolta si immagina debba suonare il Barocco; al contrario il gesto sonoro scivola lieve, galante e accuratamente preciso senza perdere in brillantezza.
Straordinario e prezioso, perché completa un gruppo di quattro concerti per traversiere con titoli geografici (La Spagna, La Francia, L’Inghilterra, ancora da scoprire!), Il Gran Mogol era già dallo scorso anno sottoposto all’attenzione degli studiosi (Sardelli e Andrew Woolley in primis, che lo scoprirono a Edimburgo). Alexis Kossenko, benissimo al flauto traversiere, evoca nei colori e negli arabeschi che si susseguono rapidi immagini di terre lontane.
Il ritrovamento in Belgio di altre due arie dall’opera L’Inganno trionfante in Amore, che si sono aggiunte alle due di Berlino, già considerate ineseguibili perché trasmesse solo nelle parti di canto e basso continuo, ha consentito allo stesso Sardelli di ricostruirne con buona approssimazione (per il tramite delle autocitazioni vivaldiane) la scrittura degli archi. Per un totale di quattro arie di grande bellezza: Palpita il core e geme tutt’affanno, S’odo quel rio che mormora, Langue il fior sull’arsa sponda, Sono nel mar d’aspri tormenti. Antonio Giovannini, giovane mezzosoprano dal bel timbro e dalla sciolta agilità, trova momenti di pulita espressività. In attesa di poter riascoltare queste “delizie” nell’incisione in esclusiva per Naive.
Laura Bigi