L’opera Semiramide aprirà venerdì 18 novembre la stagione d’opera e di balletto del teatro napoletano. Sul podio Gabriele Ferro con la regia di Luca Ronconi
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Semiramide sarà in replica domenica 20 alle ore 17.00, martedì 22 alle 19.00, venerdì 25 alle 19.00 e domenica 27 alle 17.00. Biglietti: a partire da 90 euro (infoline: 081.081.7972331-412-468 biglietteria@teatrosancarlo.it).
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Una scelta di sobrietà: cambi di scena fluidi, un coro invisibile nell’insolita posizione dentro la buca d’orchestra, i preziosi costumi di Emanuel Ungaro, l’imponente e unica scena di Tiziano Santi, e le luci disegnate da A.J. Weissbard, costituiscono le promesse per la Semiramide di Gioacchino Rossini, regia di Luca Ronconi e Gabriele Ferro sul podio, che inaugura venerdì 18 novembre alle ore 19, sotto l’Alto Patronato del presidente della Repubblica, la stagione d’opera e di balletto del Teatro di San Carlo a Napoli, quasi un’anticipazione dell’anno rossiniano, come sottolinea il sovrintendente Rosanna Purchia.
Il Massimo napoletano riporta sulle scene un’opera assente da venticinque anni, quando nel 1987 sul palco saliva Montserrat Caballé. Oggi nel ruolo del titolo il soprano Laura Aikin. Il cast si completa con interpreti di assoluto rilievo internazionale: Silvia Tro Santafè (Arsace), Simone Alberghini (Assur), Annika Kaschenz (Azema), Gregory Kunde (Idreno) e Federico Sacchi (Oroe). Il coro è diretto da Salvatore Caputo.

L’opera di Rossini torna al San Carlo dopo l’ultima rappresentazione del 1987, l’unica del Novecento nel teatro napoletano. Semiramide fu presentata per la prima volta al Lirico napoletano il 30 dicembre del 1823 (nello stesso anno della prima alla Fenice di Venezia, il 3 febbraio 1823), e per tutto l’Ottocento fu un titolo molto popolare eseguito in ben 16 edizioni per un totale di 125 recite fino al 1887, prima di cadere nell’oblio per più di un secolo.
Melodramma tragico in due atti su libretto di Gaetano Rossi, tratto dalla Tragédie de Sémiramis di Voltaire, Semiramide è l’ultima opera composta da Rossini per le scene italiane, prima di trasferirsi a Parigi. Per il suo congedo il compositore pesarese pensò ad un’opera dalle proporzioni perfette in grado di rappresentare un modello ideale basato sul recupero della tradizione settecentesca; forse per questo Semiramide è considerata il “testamento estetico” del pesarese.
«Non è affatto un’opera semplice da mettere in scena – ammette Gabriele Ferro -. Anzi, posso dire, che è una delle opere più difficili di Rossini, quattro ore circa di musica, recitativi secchi e molte arie, alcune favolose. Vorrei che si comprendesse – aggiunge – che il Rossini serio è molto più vicino a Mozart che a Donizetti. Era un conservatore pur essendo un innovatore nel suo campo. Non è un autore romantico, come spesso viene proposto; la tradizione ottocentesca e certe interpretazioni anche più recenti come quella della Sutherland sono state dannosissime».
Il massimo ostacolo alla comprensione del teatro serio rossiniano veniva dalla totale inadeguatezza degli interpreti della scuola vocale verista nel ricreare l’esatto significato espressivo della scrittura vocale belcantistica. Con felici parole Nino Pirrotta ha illustrato il «concetto negativo del canto di coloratura derivato dalla volatilità acrobatica dei soprani leggeri, […] i soli a praticarla sistematicamente, e dalle intonazioni approssimative, o (peggio) dalle deformanti accelerazioni di tempo alle quali sono costretti a ricorrere, con poche eccezioni, i cantanti di altro tipo. Ci manca quasi completamente l’esperienza dell’agilità agevole in pienezza di suono e uguaglianza di timbro, per la quale fu celebre, tra tante altre, la voce di Isabella Colbran [interprete prediletta e prima moglie di Rossini]. E dalla mancanza delle condizioni dalle quali dovrebbero emergere spontanei e senza sforzature i valori melodici e la loro implicita espressività nascono […] le riserve che accompagnano i giudizi critici sulla Semiramide…».

A tal proposito Gabriele Ferro afferma: «La mia idea interpretativa di base prevede che dalle note debba emergere l’estrema sensibilità, le sfumature con le quali il compositore dipinge i personaggi, altrimenti rischia di essere stucchevole. Per fare questo bisogna bilanciare il rapporto tra la dinamica delle voci e l’orchestra. E poi anche i recitativi devono essere incalzanti, attraverso questi dialoghi si svolge la trama dell’opera, abbastanza complicata, con la regina di Babilonia, Semiramide che trama per uccidere il marito con il principe Assur e alla fine si ritrova ella stessa vittima. Alle arie Rossini riserva i momenti più intimi e riflessivi dei vari personaggi». Semiramide è la più lunga opera seria di Rossini, su cui la generazione successiva di compositori italiani è ritornata in maniera quasi ossessiva, per imitarla o per ripudiare il suo classicismo, la sua sfacciata glorificazione del potere della musica. Ne snellirono la struttura, cercarono nuovi soggetti nel teatro romantico, appiattirono il suo splendore vocale. Nel fare questo ritornarono ad alcune delle tecniche che Rossini stesso aveva sperimentato a Napoli. Ma Semiramide rimase il principale punto di contatto fra Rossini come autore di opera seria e le successive generazioni di compositori italiani. Il suo fascino e la sua bellezza rimangono intatti per il pubblico di oggi.

E su questo fascino gioca la regia di Luca Ronconi: «L’artificialità è un valore in quest’opera. E ci dice, per esempio, che non ha molto senso farne un allestimento descrittivo. E, infatti, nella mia messa in scena non si vedrà affatto Babilonia. E poi, a parte il fatto che la verosimiglianza in musica in sé e per sé è un’assurdità, è bene dire che l’artificio è un elemento che spinge piuttosto a indagare a fondo sulle relazioni che intercorrono tra i personaggi e il conflitto di potere che si genera da esse». Quasi un’indagine sulle relazioni umane, offerte da Rossini con pudore e discrezione: «Trovo sublime – prosegue il regista – quel suo modo di osservare le umane passioni con acume ma con distacco. Rossini guarda sempre il mondo da una certa distanza. Perciò non descrive ma sintetizza».
Vincenzo Doriano De Luca
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